Durante la Pasqua ebraica vengono al pettine alcuni dei nodi fondamentali dell’identità d’Israele, tirati a galla dalla super kasherut richiesta dall’occasione: nella Bibbia è scritto, tra le tante cose tra cui che Dio indurì per dieci volte il cuore del Faraone affinchè non liberasse gli ebrei e potesse così manifestarsi la Sua potenza nelle dieci piaghe fino allo sterminio dei primogeniti d’Egitto, che gli schiavi ebrei nella notte della loro fuga non ebbero tempo di far lievitare il pane. Quasi tremila anni dopo, per una settimana ti tolgono letteralmente il pane di bocca: non si trova nei supermercati, non si trova nei ristoranti, non si trova nella mensa del kibbutz. A sostituirlo si ripiega sul pane azzimo, la matza, più insipido del pane toscano e meno fragrante del cracker; di far scarpetta non se ne parla. Insomma, per me italiano una tragedia.
Il primo nodo che viene fuori è l’assoluta non-simbolicità del gesto. E’ fondamentale garantire all’ortodosso che da nessuna parte si trovi lievito, neanche per sbaglio: non nella verdura, non nell’acqua, non nell’olio, non nella carne. L’intera distribuzione alimentare d’Israele è sostituita, per pochi giorni, da prodotti kosher per Pasqua, certificati dal rabbinato di turno. Sugli scaffali non si trova un barattolo o una confezione senza questo nuovo marchio di superkasherut, uniche eccezioni sono negozi e supermercati arabi dove ci rechiamo a racimolare qualche pitah, tipo piadina ma con meno sale. A cena da amici per il seder Pesach (lettura della storia della fuga d’Egitto accompagnata da cibi rituali) si parla di questo: tirano fuori cifre astronomiche per le certificazioni di kasherut di Pasqua, discutono sulla necessità o meno di sottostarvi da parte delle grandi catene di distribuzione, azzardano teorie complottistiche sugli eventuali interessi che la politica trarrebbe dal business della kasherut. Regna la disillusione: a quel versetto della Bibbia, come a tutti gli altri precetti alimentari, si aggrappa oggi un giro d’affari milionario. Qualora il rabbino revochi la propria certificazione, la compagnia perde migliaia di clienti dall’oggi al domani: perfino la Coca-Cola, ai tempi, dovette rivelare la propria ricetta magica per accedere alla fetta di mercato dei rabbini, così come Nutella e Heineken. Benchè non esista il Rabbino Assoluto equivalente del Papa per il Cattolicesimo, i rabbinati di tal calibro da influenzare l’economia si contano sulle dita di una mano. Quanto alla loro ortodossia nell’applicazione del precetto sia incentivata dal lucro, dipende dal grado di maliziosità nel giudizio.
Questo per quanto riguarda l’osservanza religiosa da parte dei credenti e il suo effetto sui servizi erogati da privati; c’è poi una seconda religione, quella degli appartenenti: gli ebrei atei, eppur praticanti. Il seder viene celebrato in quasi tutte le famiglie, così come altre ritualità annuali, anche da quelle dichiaratamente atee, un po’ come da noi le chiese si riempiono magicamente la notte di Natale e si svuotano, altrettanto magicamente, la settimana dopo. L’autenticità della credenza è forse dettata dalla cura nell’organizzazione del seder, ma non necessariamente: forse per mancanza di alternative, la ritualità religiosa è infine diventata per l’ebraismo sigillo di appartenenza civica. Alla nascita dello Stato d’Israele, che ha voluto catalizzare nella propria cittadinanza questo balzano senso civico, la mancanza di alternative si è concretizzata nel cosiddetto status quo: cosa, se non la religione, può rendere lo Stato Ebraico ebraico de facto? Ben Gurion, leader storico, istituzionalizzò l’appartenenza senza credenza elevando alcuni precetti religiosi fondamentali a leggi dello Stato: la chiusura dei servizi pubblici di sabato, l’esonero degli studiosi della Bibbia dalla leva militare e il loro finanziamento pubblico, il rispetto della kasherut ‘di Stato’: per tornare alla nostra Pasqua, quindi, per l’occasione lo Stato d’Israele vende tutto il proprio pane e simili (birra inclusa in quanto lievitata) ai non ebrei, musulmani o cristiani che siano, al prezzo simbolico di uno shekel, per poi ricomprare tutto allo stesso prezzo a festività terminata. L’infantilità del trucco imbarazza gli israeliani stessi, ma d’altra parte agli escamotages bisogna rivolgersi onde evitare la simbolizzazione del precetto e dunque la sua decaduta: se l’arte della teologia cristiana è l’astrazione verso il concetto e quindi interrogarsi su come un Dio onnipotente e buono si abbassi a indurire il cuore di un re provocando deliberatamente dolore e morte, l’arte del Talmud è la concretizzazione verso la pratica e quindi la ricerca dell’intenzione del comando affinchè sia applicabile; i cristiani non hanno regole, gli ebrei ne hanno troppe. Analogamente, quindi, sul suolo israeliano è vietato allevare maiali, animale impuro secondo la Torah, ma viene allevato su apposite palafitte certificate dai rabbini come metafisicamente sopraelevate e quindi esterne al suolo d’Israele. Unico punto d’attrito è la legge sulla cittadinanza nello Stato Ebraico: secondo la legge del Ritorno, simmetrica alla legge nazista, chiunque di padre o madre, nonna o nonno ebrei ha diritto alla cittadinanza, secondo i rabbini invece solo il figlio di madre ebrea.
Al di là della confessionalità de facto, dalla copertura del reparto pane sotto Pasqua alla relativa difficoltà nel reperire frutti di mare o carne di maiale, si somma la confessionalità de iure di uno Stato che dall’alto di una signora democrazia e di un primo piano tra gli occidentali, ancora si piega a superstizioni medievali. Gli israeliani, a volte gli stessi religiosi, percepiscono la tensione, ma non la focalizzano; sono confusi e lacerati: da una parte vorrebbero liberare lo Stato e loro stessi dal vincolo confessionale, dall’altra non hanno trovato altro modo per manifestare il loro ebraismo che non passi per la religione: nel seder Pesach, c’è poco da fare, si invoca Dio e si celebra il suo miracolo, ma d’altra parte così è stata scritta la storia di questo popolo. Almeno fino ai nostri giorni.
Oggi è il Giorno della Shoah. Questa sera, alle 20.00, nel kibbutz ci sarà una commemorazione: il tema dell’anno è la Shoah in Italia. Tutti saranno vestiti di bianco, ci saranno candele, proiezione di foto e lettura di storie; stamattina in sala da pranzo sono comparse fotografie in bianco e nero sui muri e un tavolo di libri in consultazione. Domani mattina, alle 10.00, una sirena suonera per due minuti continui, e tutta Israele, o se non altro l’Israele ebraica, si fermerà in piedi in silenzio, le macchine accosteranno sulla strada e perfino l’aeroporto si fermerà. In televisione, dalle 20.00 di stasera e per 24 ore, andranno in onda solo programmi dedicati, anche per bambini. Giovedì scorso al moadon, durale la conversazione dell 14.30, gli educatori hanno ricordato ai bambini che si avvicina il Giorno dell’Indipendenza e che per chi vuole c’è la possibilità di partecipare ad una coerografia; tra gli interventi, qualcuno dice di sapere che il Giorno dell’Indipendenza cade dopo il giorno della Shoah. Visibilmente spiazzati, gli educatori confermano e invitano a restare sul tema, ci sarà un’altra occasione per parlare della Shoah. Ma è troppo tardi: Tom, a gattoni davanti al nostro divano, spiega che c’era Hitler che voleva uccidere tutti gli ebrei e conquistò molte terre e con i suoi collaboratori ne uccise milioni; Or, se non ricordo male, alza la mano per dire che la nonna di sua mamma è morta a Dachau. Parlano dondolandosi e roteando lo sguardo, a bassa voce e scegliendo bene le parole, come sempre: per i bambini di 6 anni del kibbutz è una storia come un’altra, la raccontano come qualche mese fa raccontavano la storia di Ester nella festività di Purim, dondolandosi e roteando lo sguardo. Oggi si chiama Hitler e non Aman, cambia solo un nome e qualche numero, per loro.
Mi chiedo che ne sarà della storia della Shoah tra duecento o mille anni, se ci sarà un seder Shoah con cibo rituale per ricordare quel che si mangiava a Dachau e quando s’infilerà Dio in mezzo a questa storia di uomini; o, se ce già, quando verrà istituzionalizzato; quando, andati perduti i documenti, verranno rimpiazzati da favole come l’apertura del Mar Rosso; quando lo Stato venderà per un solo giorno tutte le scarpe ai non ebrei, perchè è scritto che nei campi di sterminio andavano a piedi nudi d’inverno. Diventerà anche la Shoah pezzo della sacra vicenda tra Dio e il suo popolo? Diventerà anche la parete di Dachau, costruita da mani naziste, sede di un Dio che legge i bigliettini che ci infilano i fedeli? E se tutto questo succederà, come succederà? Io spero di no, spero che la moderna conservazione della verità storica aiuti il popolo ebraico a svincolarsi dalla magia e che tra mille anni dei cittadini normali possano festeggiare il loro Giorno dell’Indipendenza senza celebrare un miracolo di un Dio a cui non credono.