- Qui non è l’America 17-10-2019
- Il sistema startappe e come uscirne 04-03-2020
Nel 2018 ho fondato PCUP srl con l’obiettivo di creare il primo bicchiere riutilizzabile intelligente. L’idea, ispirata da un festival nel deserto israeliano e concretizzata in una vacanza in kayak nel 2015, è quella di aggiungere funzionalità al bicchiere per farlo diventare qualcosa di più del packaging dei nostri drink: uno strumento di relazione, di marketing, e di cambiamento comportamentale su larga scala.
PCUP è una società iscritta al registro imprese startup, introdotto recentemente in Italia con specifici requisiti di ammissione, seppure fuor di burocrazia il termine startup è usato in tanti modi. Nella vulgata italiana è un progetto nuovo, spesso inerente il digitale e il marketing. Secondo un’altra scuola di pensiero, startup è una società con un modello di business non ancora definito, cioè un’intuizione forte in cerca di una formula per monetizzare. Negli ecosistemi più maturi, come la California o Israele, startup è una società nuova con un modello di business scalabile, cioè che può aumentare esponenzialmente i ricavi, e un mercato immenso, cioè nell’ordine di centinaia di milioni di euro di ricavi annui. Startup in questo senso sono per definizione rare e difficilissime da realizzare, altrimenti qualcuno ci avrebbe già pensato.
Comunque la si metta, mi sto affezionando a una metafora molto personale dell’imprenditoria ad alto rischio – definizione, questa, con cui mi trovo più a mio agio. In tempi lontani, prima di fare PCUP, facevo tante cose tra cui scalare. Ho scoperto questo sport per sbaglio a Gerusalemme, nel 2015, e sono letteralmente impazzito mettendo la tenda nella palestra di boulder almeno tre volte a settimana per un anno e mezzo, fino a lesionarmi i tendini. Al ritorno in Italia ho continuato e contagiato due amici, con cui negli anni abbiamo consumato le scogliere di Bulderino Marino e scoperto che a due passi da casa nostra, a Varazze, c’è un bosco con centinaia di blocchi di arrampicata meta di pellegrinaggi da tutto il mondo. I blocchi e le vie di arrampicata hanno diversi livelli di difficoltà, ma ciascun blocco e ciascuna via hanno avuto un primo “liberatore” – colui che le ha tracciate e fatte per la prima volta.
Le vie che non sono ancora state liberate sono dette in gergo “progetti”: tanto i campioni del mondo quanto noi comuni mortali ci dilettiamo in progetti, individuando pareti che ci sembrano fattibili, tracciando una linea immaginaria e provando a seguirla fino a chiuderla, cioè farla da cima a fondo in continuità. I migliori atleti al mondo investono mesi, anni, migliaia e migliaia di tentativi nei loro progetti. Tornano sul luogo a distanza di settimane dopo appositi allenamenti e fisioterapie, ossessionati da quella linea immaginaria che hanno tracciato nella crosta della montagna. Aggiustano la posizione di ogni falange sulla presa, premeditano ogni respiro, dosano ogni sforzo. Sacrificano stagioni intere visualizzando il giorno in cui daranno infine un nome a quella linea immaginaria: questo è l’onore che spetta al liberatore. Non sanno quanto ci vorrà ma sono certi che sia un’impresa fattibile, perchè altrimenti desisterebbero dall’intento per tornare ad attività dai risultati più sicuri. Eppure, da qualche parte nel profondo contemplano la possibilità del fallimento: quella linea potrebbe essere destinata a rimanere immaginaria, potrebbe essere oltre le capacità umane – o magari solo oltre le loro. Questa possibilità, tenuta alla porta dalla fiducia in sè stessi, dalla tecnica, dal miglioramento continuo, dalla conquista di pezzi del percorso, dall’incoraggiamento degli altri, agita dormiveglia inaspettati, vena di amaro i momenti più dolci, sporca di mediocrità i successi più limpidi. Estasi e malinconia.
Immaginare una linea perfetta, non stancarsi mai di osservarla da terra, di idealizzarne i contorni, di isolarne le asperità. Dedicarle il meglio dei tuoi anni, della tua intelligenza, della tua audacia, a dispetto di ogni tentativo fallito, di ogni callo bucato, di ogni illusione infranta. Accettare che possa essere un’impresa impossibile, convivere con questo scenario come antidoto alla follia. Questo è startup per me.