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Dal 31 gennaio mi trovo al kibbutz Maagan Michael, sulla costa pochi kilometri a sud di Haifa. Il kibbutz, uno tra i più ricchi e fiorenti d’Israele, ospita un Ulpan per poco meno di un centinaio di studenti, quest’anno 88. L’Ulpan è un corso ministeriale di ebraico, studiato per insegnare molto velocemente e con successo la lingua ai nuovi immigrati in Israele, da sempre parecchi da ogni angolo del mondo. Il mio gruppo ospita una cinquantina di questi nuovi immigrati, che in quanto ebrei ricevono immediatamente cittadinanza con tutti i diritti e i doveri ad essa connessi. All’Ulpan comunque si può iscrivere chiunque, studente o lavoratore o turista che vuole passare qualche mese di contatto più intimo con Israele.
Rimarrò qua fino a fine luglio, studiando quattro ore al giorno in classe Dalet (quarto livello su sei, il più alto che il kibbutz offre) e lavorando altre quattro: una settimana com educatore dei bambini, una settimana allo zoo. La location è da urlo: spiagge mozzafiato, piante meravigliose, il monte Carmelo alle spalle, casette a due piani, enormi vasche di allevamento ittico, aironi e martin pescatori, surfisti e barche a vela, isolette di roccia nera e campi da calcio. In camera ho due coinquilini, l’italiano Massimo di cui sono anche traduttore, visto che non parla nè ebraico nè inglese, e l’australiano Michael, veterano dai 5 mesi dell’Ulpan precedente e quindi mia preziosa guida per i primi giorni. L’atmosfera è molto lontana dall’isolato e impervio kibbutz Yotvata dove ho passato i tre mesi precedenti, trovandosi Maagan Michael nel mezzo dei traffici da Haifa a Tel Aviv ed essendo un frequentatissimo centro produttivo, con le sue fabbriche di plastica e microchip, allevamenti intensivi di pesci e mucche e piantagioni di avocado, papaya e non so che altro, e sociale, con il club velico, la spiaggia dei surfisti, le palestre e il rinomato locale aperto tre giorni a settimana. Il manipolo di volontari di Yotvata, la grande famiglia con cui condividevamo ogni istante, è qui sostituito da un chiassoso ed eterogeneo gruppone di studenti, guidato dalla folta comunità di sudamericani sempre in prima linea per la baldoria. Se a Yotvata ho esplorato i silenzi, qui a Maagan Michael pare mi abituerò al rumore.
Anche qui l’anima del kibbutz (quasi 2000 persone in tutto) consiste nell’assemblea dei membri del kibbutz, che via computer votano diverse volte all’anno per diverse questioni comunitarie, in particolare per l’ammissione di nuovi membri: la situazione non è facile, dal momento che la lista d’attesa per l’ingresso a Maagan Michael è lunghissima già solo per i figli dei membri che vogliono tornare a casa, figuriamoci per gli esterni. Lo spazio per costruire nuove abitazioni è esaurito e al più si pone il problema di dove buttare giù per allargare i quartieri. Segno di ottima salute del kibbutz, in realtà la popolarità è un’arma a doppio taglio, essendo fondamentale per la comunità coesione e ottimizzazione delle energie. Il kibbutz, a differenza del totamente comunista Yotvata, è parzialmente privatizzato: nonostante gli stipendi di tutti i membri vadano nel calderone comune da cui viene poi erogata una quota fissa uguale per tutti, la sala da pranzo (un ristorante di tutto rispetto) è a pagamento, anche se minimo, così come tutti i benefit dal club velico-surfistico alle palestre alla caffetteria alla pizzeria e ai diversi negozi che si trovano nel kibbutz. Noi studenti abbiamo una carta interna al kibbutz con cui paghiamo e su cui ci viene caricato un tot di soldi mensilmente, oltre a questo possiamo pagare in cash nei due minimarket o recarci direttamente fuori dal kibbutz nelle cittadine vicine, Hadera e Benyamina.