Col tempo, mi è sempre più difficile scrivere; mi è difficile focalizzare cosa merita di essere raccontato e cosa invece rientra nella routine di qualsiasi vita, e non in quella di un volontario a Yotvata; passata la scarica adrenalinica della novità, mi è difficile rendermi conto di quando sta succedendo qualcosa di significativo, o semplicemente quando sta succedendo qualcosa, giornalisticamente parlando; ormai a cavallo di questo mondo da tre mesi, mi è difficile discernere la normalità dall’insolito, dal diverso, dall’alterità.
Paesaggi: da protagonisti che erano sono diventati ora sfondo della commedia. Tramonti, sassi, kanyon, falchi, shitafon, immense distese silenziose, stelle sono l’ambiente di Yotvata, molto semplicemente.
Lingua: oltre la cortina fonetica e segnica si sviluppa un intreccio delle stesse relazioni umane, emozioni, intenzioni di cui è affetto anche il mondo a ‘casa’, e così suppongo in ogni contesto umano. Per quanto interessante e irriducibile, il linguaggio è anche qui solo uno strumento per le nostre vite, per intenderci su qualcosa d’altro che è il vero sale della nostra esistenza: può essere un complimento, una battuta, un ordine. Ho conferma che succede qualcosa oltre quello che ci raccontiamo in ebraico o in inglese: le mie memorie quaggiù sono in italiano.
Società: l’assenza di lucchetti, l’uguaglianza reale, la routine del lavoro, l’assenza di carriera non mi sembrano più roba da superuomini. Sono anche questi parte di una normalità ereditata dal tempo e dall’esercizio, gesti e valori introiettati da uomini che a loro volta, come me, si sono adattati.
Da una parte mi assale una noia per l’umanità: davvero riusciamo a smettere di stupirci? e in così poco tempo e di cose così meravigliose? davvero siamo tutti, in fondo, uguali? è davvero così facile adattarsi gli uni agli altri nonostante i nostri millenni di storia e le migliaia di kilometri di distanza? Dall’altra, riconoscere la mia integrazione quaggiù è uno dei pensieri più edificanti che mi possa sovvenire: esiste davvero una compatibilità di fondo tra esseri umani, più forte di qualsiasi struttura individuale storica o biologica e qualsiasi condizione atmosferica, che permette loro di sopravvivere gli uni agli altri attraverso l’adattamento. Adattamento che quindi da una parte, è vero, mi fa passare inosservato un fatto tanto bello come l’improvvisata gita di classe dei bambini dell’elementari a Dimona per vedere per la prima volta la neve di settimana scorsa (due chiazze smunte qua e là, ma tanto basta), dall’altra mi fa lasciare il computer incustodito in bunker internet per qualche ora, insieme a quello di Juan Carlos, o usare disinvoltamente vestiti da lavoro del kibbutz, senza percepire lo spazio per il furto.
Quel che allora voglio portarmi dietro da questo posto, dovunque mi troverò a ricominciare una vita nel futuro, è l’importanza del contesto umano: le possibilità e i limiti delle nostre azioni, la forma del nostro comportamento, la nostra percezione di giusto e sbagliato non sono sotto il nostro pieno controllo. L’esempio del mondo ci plasma nell’intimo, rendendo letteralmente impossibili alcuni comportamenti e pensieri: ci mette una tara. In Italia la tara è non spaccare le vetrine con una mazza da golf, non rubare dalla cassetta delle elemosine, pagare il conto al ristorante; la zona d’ombra, cioè là dove non c’è abbastanza coercizione sul comportamento ma nemmeno abbastanza motivazione all’autodisciplina, è rubare caramelle all’Autogrill nella gita di classe o non pagare il biglietto del bus (cosa che, invece, pare rientrare a pieno titolo tra le ‘tare’ dei tedeschi). Esattamente come a Yotvata, anche in Italia ci sono comportamenti tecnicamente possibili ma che praticamente mai vengono attuati, e come a Yotvata non è questione di punzione: nessuno vede se rubo dalla cassetta delle elemosine in chiesa, come nessuno vede se rubo un telefono da una camera di Yotvata. E’ solo un diverso grado, una diversa tara, un diverso contesto. Posso allora dormire contento, con la certezza storica (sperimentata in prima persona) che non possiamo rimanere indifferenti all’ambiente: a questo punto, basta creare quello giusto.