Il lato oscuro

Il locale è piccolo ma ben tenuto, fa carne alla griglia in pitah o baguette e insalate. Fuori la vita di Eilat scorre nonostante l’inverno. Si fa avanti lui per primo, capello tinto dalla lunga ricrescita bianca raccolto in una coda, tarchiato, barba sfatta, senza aspettare che finiamo di leggere il menu. Cosa ci fanno due italiani nel suo locale? Aspettiamo il visto dall’ambasciata egiziana per entrare nel Sinai. Non gli piacciono gli italiani, dopo che a Brindisi negli anni ’80 gli è stato rifiutato un caffè in quanto israeliano. Ce lo dice così, senza complimenti, in ebraico, e io traduco a Lara. La tele è accesa su quello che suppongo essere il peggio trash israeliano, un Buona Domenica solo con gargarismi vocali mediorientalissimi e studio televisivo alla buona: già questo, elemento significativo, col senno del poi. Domande di rito sul come mai parlo ebraico, tipico fraintendimento sul mio essere ebreo, fino ad un punto di svolta dell’intreccio quando, non ricordo perchè, nomino la parola ‘palestinesi’. Ma ze filistinim? Cosa sono i palestinesi?, chiede a muso duro. Bne’ adam, uomini, rispondo un po’ a disagio. Si stende in una risata, o piuttosto un ghigno diabolico: ‘C’è la Giordania, l’Egitto, il Libano, ma cos’è la Palestina? Dimmi, dov’è sulla mappa? Quano mai c’è stata?’. Non ci sarà la Palestina, ma restano 5 milioni di palestinesi da spiegare, azzardo. Di nuovo shignazza, ‘te li do io 5 milioni di arabi – mi mette la mano sulla spalla – tachshiv ieled, ascolta bambino, non parlare di roba che non conosci’. Mi porta la pitah e traduco sommariamente a Lara lo scambio. Si siede a tavola con un amico-collega, parlano di soldi. Noi ci mettiamo a studiare la mappa per il monte Sinai. Stavolta sono io a riprendere il discorso, gli chiedo da dove viene. Da qui, Israele, nato a Tel Aviv, direi a occhio e croce nei primi anni ’50. ‘E come sei capitato a Eilat?’. Nei primi anni ’70 si è trasferito in una minuscola Sharm El Shaikh, dopo la conquista israeliana della penisola nella guerra dei Sei Giorni. ‘Il posto più bello del mondo, gan Eden.’ Scompare nelle cucine e torna con un quadretto ingiallito: qualche foto, lui che fa sci d’acqua con gli stessi capelli lunghi, solo castani, sullo sfondo le solite spettacolari montagne rosse. Niente villaggi turistici, niente europei russi turchi, solo qualche beduino e tanti israeliani in cerca di un isola di pace lontana dal mondo in guerra, spiega. Insomma, un sessantottino delle sabbie. ‘Poi nell’82 abbiamo ceduto l’intero Sinai all’Egitto in cambio di pace, ed eccomi qua’. In effetti, adesso con l’Egitto è pace, puntualizzo. ‘Pace hazain sheli – pace ‘il mio cazzo’, letteralmente – terrorismo, armi a Gaza, tutti morti di fame. Ma tu lo sai, bambino, Israele è la nazione più potente del mondo. Vogliono la guerra? Batachat! – ‘In culo!’ – li abbiamo sempre scopati in culo, gli arabi.’ Gli arabi? Un po’ generico, ribatto, come dire ‘gli europei’, senza distinguere tra nazisti, inglesi e partigiani nella seconda guerra mondiale. Giordania, Egitto, Siria hanno avuto ruoli ben diversi nel conflitto israelo-palestinese. ‘Ancora – rivolto all’amico – continua con sta storia dei palestinesi? Chi sono? Dove stanno? Io non li vedo.’ E torna quell’inquetante risata da invasato. Lo interrompo: ‘Sono stato a Ramallah, Betlemme, Hebron, Jenin, adesso anche a Gerico; dopo il muro ci sono città, strade, negozi, case…uomini. Tu ci sei stato? Tu sai di cosa stai parlando?’ ‘Io? Io non ho motivo di andarci, non ci voglio andare. E se ci vado, bambino, tistakel – guarda.’ Gira nuovamente dietro l’angolo della cucina e, tornato brandendo una bella pistola con impugnatura in legno sghignazza: ‘Ci vado con questa!’. La mette via e torna in sala; noi, raggelati, ci rimettiamo a guardare la mappa. In Israele vedi ogni giorno M-16 d’assalto, fucili da cecchino impolverati e ogni altro tipo di arma automatica in mano a ragazzini più piccoli di me. Non si è mai sentito di episodi di stragi folli come nei licei americani, piuttosto di qualche strage politica come quella a Hebron o sulla Spianata delle Moschee.Tuttavia niente mi ha più spaventato di quella relativamente piccola arma in mano a un vecchio con la pancia da birra. Finiamo di mangiare e ci intratteniamo ancora un po’, aspettando l’orario di apertura dell’ambasciata. Il vecchio cambia canale, finalmente, e mette su Nat-Geo Wild: un coccodrillo sta sbranando una gazzella. Entra nel locale un altro sulla sessantina, abbronzato e ben vestito. Sento il nostro uomo raccontare dell’italiano che lavora Yotvata e parla ebraico. ‘E, senti un po’, parla dei palestinesi’, dice ad alta voce girato verso di me. L’altro non si sbraga in risate sadiche, piuttosto mi guarda negli occhi e fa: ‘Voi in Europa non avete idea, non conoscete gli arabi. Ne avete, certo, ma sono immigrati: non hanno uno Stato e una terra alle spalle, sono ospiti. Non possono chiedere quello che vogliono. Ma aspetta un po’, fanno figli come conigli: altri dieci anni e vi schiacceranno.’ Interviene l’altro a rincarare la dose: ‘Bambino, tu parli ma sai cos’è un’autobomba? Non fai quello che vogliono: booom! Venti quindicenni sul marciapiede. Non aprite la moschea? Boom, un altro ristorante per aria. Hanno arsenali in tutta Europa, pronti per voi appena non farete quello che vogliono. Ancora dieci anni, e anche tu, non la tua amica, dovrai mettere il burka!’ Sghignazza. ‘A me basta non vederli, che spariscano, fuori dal mio Paese. Hanno dove andare: Giordania, Siria, Libano: sono arabi? Che si prendano loro gli arabi! Gli ebrei li hanno già cacciati già tutti, loro, dopo il ’48. E sai cosa vogliono adesso? Li senti cosa dicono? Egitto: ottanta milioni di pezzenti, la metà non sanno leggere; in televisione i politici parlano ancora di eliminare la minaccia sionista fino all’ultimo uomo. E se non qui, dove vado? In mare? Batachat! Vengano a prenderci, li facciamo il culo di nuovo.’ Riprende il signore ben vestito, in quello che sembra il gioco del poliziotto buono e poliziotto cattivo: ‘Dovete aprire gli occhi, in Europa. Tutto parte con la democrazia: liberi di fare tutto, anche di abolire la democrazia. Guarda in Egitto: finita la dittatura chi hanno eletto? I più radicali tra i musulmani. Gaza: Hamas è salito con l’appoggio popolare, solo dopo ha iniziato gli omicidi politici. Aprite gli occhi! In America lo sanno: prova a dire qualcosa contro la nazione, in America; prova ad andare contro la democrazia: ti sbattono fuori! Ti fanno giurare sulla Costituzione, quando arrivi in America, è una democrazia con dei confini.’ Ma quando parlate di arabi, chiedo, intendete musulmani e cristiani insieme? ‘No no, i cristiani vanno bene. E ti dico, i religiosi sono sempre il peggio, anche noi abbiamo dei pazzi, ma sono i musulmani il vero problema’, risponde pronto il padrone del locale, mentre l’altro tentenna. ‘La prossima guerra mondiale è cristiani contro musulmani, te lo dico io.’

E’ il mio primo incontro coi fascisti israeliani. Ci sono ovunque, in ogni nazione, ma gli ebrei lasciano sempre pensare: dopo milleni di persecuzione, la prima cosa che questo vecchio riesce a dirmi è che non gli piacciono gli italiani, proprio come in Europa non ci piacevano gli ebrei, e per di più perchè gli italiani sono razzisti! E’ un triplice paradosso della generalizzazione, quello del discriminato che discrimina coloro che discriminano. Ci penso spesso, alle parole di quei due ristoratori. Il loro ritratto del mondo arabo è quello del modello Hamas, dell’odio politico ormai incancrenito fino a diventare crociata religiosa; confronto le loro visioni cospirazioniste-apocalittiche con le dichiarazioni dei leader arabi: ‘La guerra di Gerusalemme non è giusta per 5 milioni di palestinesi, ma santa per un miliardo e mezzo di musulmani’; mi scorrono davanti le icone dei guerriglieri votati alla distruzione di Israele coperti in volto da una kefiah, sui muri di Ramallah di fianco alle foto di Arafat vittorioso con il kalashnikov in mano; penso a Gilat Shalit, soldato israeliano liberato al prezzo di 477 guerriglieri di Hamas, quando dall’altra parte c’è chi manda l’ennesimo kamikaze a farsi saltare in aria. Mi addormento ammettendo a me stesso, con buona pace del mio umanismo, che è un conflitto tra civiltà, tra due diversi sistemi di valori. Noi siamo inevitabilmente dalla parte israeliana perchè gli israeliani sono in fondo figli (per quanto rinnegati) nostri, dell’Europa, dell’Illuminismo. Il punto è che quel vecchio di Eilat, con la sua pistola e le sue ricette risolutive tagliate giù con l’accetta, mi somiglia proprio a uno di quegli ‘arabi’ non meglio spiecificati che tanto odia. Ignoranza, spavalderia, stupidità, paura, i soliti ingredienti che fanno il fascista e che pare faranno stravincere il Likud di Netanyahu alle prossime elezioni.

Di Israele mi ha subito affascinato la sensazione di essere in prima linea, di poter osservare da vicino, con la lente d’ingrandimento, problemi che su più ampia scala, un discreto ritardo e qualche piccolo inquinamento, giungeranno fino a noi. Prima o poi ci sarà un partito arabo che proporrà le istanze degli arabi; perchè è giusto così, in democrazia. Tutto il mondo occidentale studia l’arcipelago arabo dalla torre dell’università di Gerusalemme, non dal Cairo o Dubai. Qua siamo in una piattaforma, perdipiù climatizzata, nel bel mezzo della stessa tempesta di cui in Europa arrivano le onde lunghe dell’immigrazione, di gente che vuole vivere come noi ma non pensa ancora come noi. La fusione pacifica dei due mondi, qui in termini territoriali e in Europa in termini sociali, è qualcosa di nuovo e che nessuno sa come si fa. L’unica cosa certa, è che la soluzione non sta in tasca a pistoleri ignoranti: da una parte e dall’altra. 

 

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