Ciak si gira

Mi sveglio alle 8 in casa Iarqoni. Dror è già uscito per andare a scuola, Nadav dorme e i genitori sono nel pieno dei preparativi per andare al lavoro. In pieno stile israeliano Mira, la mamma di casa, mi mostra il frigo, la caffettierà da me portata in dono l’estate scorsa, mi apparecchia la tavola con un avocado in centro e mi dice: lo sai, come a casa tua. Finisco per pasteggiare a sorsi di caffè e olive.

Colazione a caso.

Ci dirigiamo in mezzo al traffico verso via Frishman 6, nel cuore commerciale e turistico di Tel Aviv. Seguo le scalette vero il seminterrato, quando trovo l’insegna ‘Kibbutz Program’ scrivo a Nadav che può andare: ci sono. Il colloquio dura in totale tre minuti: ben arrivato, hai richieste particolari? Chiedo subito che sia alloggio per amici/sorella in visita, niente stranieri, men che meno italiani, wi-fi (ridendo mi dice che c’è in ogni kibbutz). Non faccio in tempo a chiedere di essere mandato nel deserto che mi propongono, se ho pazienza di aspettare qualche giorno, il kibbutz Iotvata, il più antico e sviuppato a nel cuore delle sebbie tra Giordania, Mar Rosso e Sinai. I dettagli sul mio alloggio, le mie mansioni, i miei orari verranno detti a tempo debito, una volta nel kibbutz. Di fatto, il mio futuro brancola ancora pressochè nel buio ma ovviamente accetto l’offerta. Lasciandomi, Bella (Isabella, tutt’altro che italiana ma sua mamma aveva una passione per Celentano) mi lascia il biglietto da visita per chiamarla domenica, per vedere quando posso recarmi alla mia nuova casa per i prossimi tre mesi.

Sollevato dal vedere che il millantato ufficio dei kibbutz esiste e che non sono quaggiù totalmente a caso, trovo una banca dove depositare un po’ di euri dopodichè mi godo un giro di sollazzo sulla costa. Sollazzo neanche eccessivo, visti i 30 gradi e i jeans lunghi, ma riesco comunque a reinnamorarmi di questa città che sopperisce al fascino della concorrente Gerusalemme in vitalità e stravaganza: non importa chi sei e in quale stagione, a Tel Aviv puoi sempre vivere in vacanza. In realtà, le foto più belle sono quelle che non pui scattare, per evidenti ragioni di educazione: un cagnone col pelo rosso rasato su fianchi e gambe a lasciare un’enorme cresta punk, un ortodosso bardato dei vestiti rituali all’attesa dell’attraversamento di fronte alla spiaggia, soldati più giovani di me in coda per salire sull’autobus, appoggiati al mitra e con lo smartphone in mano, un divano da tre posti nero legato con lo spago sul tettuccio di una vecchia Fiat Cinquecento.

Questo slideshow richiede JavaScript.

Mi reco infine all’impronunciabile stazione dei bus (‘Arlozorov’ o qualcosa di simile), prendo il mio ormai fidato 480 per Gerusalemme e mi schianto nuovamente a dormire sui sedili in fondo: apro gli occhi sulla tortuosa rampa d’accesso alla città ovest, per lo stretto di Bab el Wad dove, ho scoperto recentemente, erano solite le imboscate arabe ai convogli di rifornimento da Tel Aviv all’assediata Gerusalemme ebraica, durante la guerra del 1948. Sulla strada, come usuale monito di ciò che stato, una manciata di semicingolati in fila, come in un museo sul ciglio della strada. Mi sporgo allora cercando con lo sguardo la ‘strada di Birmania’, uno stretto corridoio carrabile costruito in una lotta contro il tempo prima della tregua ONU del giugno ’48, per ovviare al blocco arabo e riuscire a raggiungere Gerusalemme con uomini, mezzi, armi e cibo necessari alla futura ripresa dei combattimenti. Non la trovo, ma so che c’è, da qualche parte dietro le colline boscose.

Scendo alla Stazione Centrale con una netta impressione di essere a casa, mi faccio quindi un giretto per riprendere confidenza con il paradossale ambiente circostante dopo di che salgo sul 68, direzione Monte Scopus. Fuori scorre il quartiere ultra ortodosso di Mea Shearim, popolato di uomini lunghi e neri e donne basse e silenziose. Definitivo segno di benvenuto da parte di Gerusalemme è Omri, mio gigantico amico del corso di lingua di quest’estate, che mi passa di fianco in autobus: gli busso alla schiena solo per un saluto, lui saliva e io scendevo, ma stasera ci vediamo a una festa in maschera. Mi trovo quindi qui, dentro il campus con la mia vecchia tessera da studente con cui supero la sicurezza, dalla connessione pubblica, aspettando l’arrivo dei miei ex compagni di classe che tra poco escono da lezione. E dal fondo dei quartieri arabi l muezzin ricomincia a salmodiare.

4 pensieri su “Ciak si gira”

      1. Sembra di leggere Harry Potter,
        dal nome della stazione degli autobus che sembra una parola magica, al tuo gigantesco amico che d’ora in poi chiameremo “Hagrid”.
        E poi… “…direzione Monte Scopus. Fuori scorre il quartiere ultra ortodosso di Mea Shearim, popolato di uomini lunghi e neri e donne basse e silenziose.” Sappi che ti immagino a Diagon Alley!!

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...