Il primo segnale di rientro in Israele ieri, all’arrivo in teno a Milano: sento parlare ebraico di fianco a me, due ragazzi in piedi all’uscita del vagone. Inizio a tremare di agitazione, non ero ancora pronto! Attacco bottone, rompiamo il ghiaccio, sono studenti di medicina a Pavia. Il test d’ingresso è durissimo in Israele, quindi moltissimi studenti si iscrivono in Italia, Bulgaria, Svezia, e fino a qualche giorno fa potevano poi tornare in patria per esercitare la professione: mi spiegano che la legge è appena cambiata, annullando l’equivalenza di molte lauree straniere. In pratica, questi due ragazzi, senza parlare una parola d’italiano, si sono trovati da un momento all’altro senza futuro, o meglio, senza il futuro che avevano pianificato. A dir la verità non mi sembrano tanto sconvolti: venivano da Pavia a Milano per farsi un giretto in duomo e far due compere. Mi salutano complimentandosi per la scelta del kibbutz e per il mio ebraico, grande conforto dopo un viaggio a rimuginare su cosa diavolo sto facendo. Penso a tutti gli amici sparpagliati per il nord che sono andato a salutare in questo mese di vacanza italica, penso a quanto sarebbe bello restare a casa a godermeli. Forse un regalo del dio Meteo, forse una beffa, mi tocca lasciare Arenzano con una giornata mozzafiato, ora salvaschermo del mio nuovissimo e intelligentissimo telefono.

Arrivo infine a Milano, a casa di Davide, dove una chiamata della Cippa mi fa percepire che qualcosa di grosso è nell’aria. Si finisce a fare una spesa di aringhe affumicate, gorgonzola, acciughe e burro, cucinare un risotto per dieci e apparecchiare il garage come non lo è mai stato. Dopo questa ultima cena arriva l’ultima birra, in colonne dove la banda di ex colleghi IES più due cugini mi aspetta per l’ultimo addio. Quella che voleva essere una partenza sottotono, quasi per paura di non ferire nessuno, è diventata una rimpatriata epica: ragazzi, che emozione.

Con l’ormai definitiva certezza di lasciarmi alle spalle una vita popolata di strane creature, balzane e imprevedibili, che si trovano, loro malgrado, a essere i miei amici, questa mattina saluto fino all’ultimo con la manina, al di là del metal detector. Poi vado, ad ogni gradino della scalata verso il gate rientrando di più in modalità ‘israele’. Incontro sullo shuttle verso la pista di partenza un ragazzo sulla trentina, anche lui laureato a Pavia in medicina. Si è trasferito per studiare, adesso ha la ragazza in Italia e lavora per un’azienda sanitaria come controllo qualità. Dice che ultimamente sta pensando a tornare in Israele, dove oggi va in visita della famiglia: in Italia premiano gli stupidi, perchè non sono pericolosi. Gli dico che dovrebbe trasferirsi comunque in Italia.
In aereo dormo. Un sonno profondo, scomodo, interroto solo da una gelida pasta al tonno, zucchine e melanzane. Buona. Mi sveglio ormai in fase di atterraggio, i grattacieli bianchi arrossati dal sole già basso disegnano lo skyline di Tel Aviv. Poi le pianure attorno, polverose e caotiche, e infine le prime colline verso est, verso Gerusalemme: piccoli panettoni oblunghi, sembrano scavate da tanti rigagnoli ormai estinti. E’ tutto più verde di come lo ricordassi; Nadav mi confermerà che è appena arrivata la prima pioggia.
All’uscita dell’aeroporto, dopo un controllo non di routine di una giovane e durissima guardia che mi fa il terzo grado chiedendomi due volte le stesse domande, supero con qualche spiegazione aggiuntiva sulla mia missione qui anche il controllo passaporti. Incontro di nuovo Zvi, il controllore di qualità in visita ai suoi parenti, che può ricambiare l’invito a una buona e lunga permanenza nel Paese, ora che siamo nel suo. Mi saluta complimentandosi per la scelta di vita kibbutz. Nella stanchezza arretrata scendo alla stazione sbagliata del treno verso Tel Aviv, mi tocca aspettare quello dopo con una bambina pazza che continua a chiedere a tutti quanto manca al centro città. Di nuovo soldati, come quest’estate, compaiono ogni dove pronti a godersi la licenza a casa con gli amici, giocherellando col telefono col mitra sulle ginocchia. Trovo infine Nadav ad aspettarmi, in un’imboscata alla fine del tunnel di uscita della stazione: mi dice che fa freddo per andare in spiaggia (25 gradi al tramonto sono inaccettabili per la delicata pelle israeliana), e che più tardi dovrà fare un salto nella scuola in cui studia ingegneria del suono per sistemare dei computer. Gli propongo di andare subito, quindi eccomi qui.
Domani mattina incontro con l’agenzia del kibbutz, ritiro del mio visto da volontario, poi capatina in banca a depositare gli euro sul conto israeliano. Nel primo pomeriggio ritorno trionfale a Gerusalemme, addobbata per l’occasione con foglie di palma e zucche di Halloween, per una notte di follie con gli ex compagni di corso dell’estate. Ma intanto il primo passo è fatto.
cambia pure sfondo al tuo nuovo cellulare bellissimo perché durerà sicuramente due giorni, non di più
1/4
Ti accolgono a gerusalemme sventolando foglie di palma…non dico altro