Le case del popolo in cemento sono un lascito, e uno dei catalizzatori, della rivoluzione industriale: case a molti piani, di facile e veloce costruzione e zero manutenzione, più economiche della pietra e del mattone. Rispecchiano la logica del magazzino, della stalla, della batteria di polli. Ma lotta di classe a parte, sono meno funzionali per il mondo deindustrializzato: la classe media vuole i suburbs, le villette a schiera, qualcuno la casetta in montagna. La casa del popolo di mezzo cerca di essere bella e comoda, e sempre più ecologica. Quell’intruglio chimico che è il cemento, però, tende naturalmente ad essere brutto, scomodo ed inquinante. Non mi stupisce, quindi, che tra le varie rivoluzioni del terzo millennio si trovi anche l’abbandono del cemento. Come tante rivoluzioni contemporanee è radical chic, forse hipster, ma ciò non toglie che possa avere una propria dignità e, un domani, una propria sostenibilità economica. Come tante rivoluzioni contemporanee, è in realtà reazionaria: rimpiazza il cemento con un materiale vecchio come il mondo. Come tante rivoluzioni contemporanee, nasce negli Stati Uniti.
Le case del popolo sono storicamente in fango, e storicamente non lasciano alcuna traccia: solo i palazzi in pietra e mattone degli dei, dei re e degli scribi, gli immortali e quindi i meno-vivi, sopravvivono i secoli. Nell’antichità, di terra sono le case come di terra sono gli uomini, impastati con la saliva del dio. Un curioso ciclo ancestrale vede l’umanità muovere da uno sputo sulla polvere, avvicendarsi nelle avventure più disparate per infine sgretolarsi e consumarsi nuovamente in polvere. Con un po’ di retorica, gli ecomostri abbandonati in cemento lasciatici in eredità dall’industrializzazione, in cui il teatro delle vicissitudini umane resta indeterminatamente oltre i propri attori, contravvengono a questo arcaico principio di ecosostenibilità per cui non è nella natura delle cose lasciare gusci vuoti, avanzi di vita defunta. Forse è per questo che il cemento ci fa ribrezzo e lo camuffiamo in ogni modo possibile, e forse è per questo che nell’era del riciclo prende piede il revival del fango, nella nuova parola di “cob”.
La prima volta me ne parlò David Tarzan, come mi parlò di molte altre cose. E’ una figata, zio. Con poche ore di lavoro, poche conoscenze di base e materiali molto semplici puoi farti la tua casa, da cima a fondo, da solo. La puoi smontare e aggiustare indefinitamente, la puoi piegare, arricciare, bucare, ben oltre il rigore degli angoli retti e delle solette e dei pilastri e delle armature in acciaio. E quando hai finito, la puoi sciogliere nuovamente nella terra da cui l’hai tirata fuori. E poi la casa è un diritto, è il diritto per eccellenza. Senza casa non sei uomo, sei cane. Per questo qui baaretz lo stato d’Israele è infame perchè non vende la terra ma l’affitta a contratti di 99 anni: la terra non è mai tua, sei sempre un mezzadro ricattabile, o tu o i tuoi figli. E se poi lo Stato se ne va, se ne va con lui il tuo diritto sulla terra. E non puoi neanche affittarla da solo, tipo mi piace quella collina la voglio quanto costa dove firmo. No! Devi aggiungerti ad una comunità già stabilita su di una collina, e quindi farti accettare. E se nessuno ti accetta allora devi per forza farti la tua comunità e ricevere la collina, e recintarla perchè fuori ci sono i lupi. E poi quanto costa! Chiaro, se vai in nei territori occupati invece te la tirano dietro la terra, costa un terzo che in Israele. Ma almeno la casa, fisicamente le mura entro cui vivi, quelle te le puoi fare da solo, scavando la terra che calpesti. Zio, è una figata.
Quest’uomo libero e ingenuo, la faccia da schtetl sotto i riccioli selvatici, sempre scalzo e a torso nudo, lo trovo per un po’ di sere accovacciato su youtube e su blog americani, legge e fa schizzi sul quaderno. Lo vado a trovare spesso in via HaMaaravim 8, dal mio appartamento ad Abu Tor, pianifichiamo di prendere una casetta in Myriam HaHashmonait, riarredarla e affittarla su AirBnb. E’ una figata, zio. Puoi affittare camera tua direttamente a chi ne ha bisogno, senza bisogno di intermediari. Pubblichi foto e info, prezzi e calendario, internet fa il resto, pagamento elettronico. Poi al secondo giro ti organizzi e fai direttamente in cash. Viaggiare è un diritto basilare, perchè dovrebbe dipendere da un pezzo di carta che legittima alcuni ad affittare stanze ed altri no, e farsi loro i prezzi? Se la mia camera ti va bene e il tuo prezzo mi va bene, che problema c’è? A Gerusalemme il mercato tira. La guerra c’è già stata l’estate scorsa quindi per due o tre anni siamo a posto, ci sono turisti tutto l’anno, senza contare studenti e lavoratori che arrivano e non sanno da che parte sono girati, e coi prezzi degli affitti che ci sono in giro… Ho trovato sta casetta, conosco il padrone di casa, era mio insegnante di scuola a Kfar Bloom, è messa male ma se mi aiuti la mettiamo a posto e facciamo un bel gruzzolo. Tu ci metti le tue mani d’oro, io i materiali e la responsabilità sul contratto. Zio, è una figata.
Così facciamo, affittiamo la casa – monolocale soppalcato – e la modelliamo in 3D su Sketchup, poi iniziamo a sballarci su come riempirla, quali mobili costruire, arriviamo ad un mood lounge di lusso, legno scuro e tessuti in porpora, sgabello alto e divano a forma di onda con tavolino basso tondo ad incastro – design di cui sono ancora fiero. Affittiamo le nostre rispettive camere su Airbnb e ci trasferiamo nella casetta, dove condividiamo un materasso matrimoniale. Nella prima settimana scrostiamo e intonachiamo, pitturiamo e lacchiamo. Riempiamo la casa e il giardino di legno di recupero e attrezzi da lavoro in prestito da amici, recuperiamo dei sanitari senza crepe. Per un mese buono lavoro ogni sera alla casetta con David. Torno un po’ prima dal laboratorio in modo da poter trapanare, inchiodare e segare in orari decenti, poi dopo le 21 assembliamo, levighiamo e progettiamo. David fa il trovacose, recupera tutto quello di cui abbiamo bisogno, io ci metto la mia manualità. Per prima cosa realizziamo un letto con quattro gambe-colonne in legno massiccio, scavate e forate all’estremità e al cui interno mettiamo lampade a led. L’effetto è magico e finalmente dormiamo su un letto. Poi il divano, il tavolino, la cucina, il giardino, il muro bianco e viola, le lampade con il dimmer, infine l’impianto elettrico. La casa è pronta, la lanciamo su AirBnb. Ma la jacuzzi in giardino – struttura in fango con rivestimento in plastica – viene rimandata. In compenso c’è una possibilità interessante proprio di fronte a casa sua, in via HaMaaravim. E’ una figata, zio. C’è sto palazzo antichissimo abbandonato da ormai 20 anni, con un giardino tutto attorno. Era la scuola del quartiere, ci andavano tutti gli immigrati turchi negli anni ’50 tra cui il nostro padrone di casa, mi ha spiegato tutto. Nessuno sa più chi l’ha costruita ma ora è abbandonata. In breve, il giardino è una specie di foresta, ci sono solo gatti selvatici e travi marce, ma ho fatto un giro ed è perfetto: la terra è buona, pochi sassi, e ci sono blocchi di pietra bianca sparsi qua e là sotto le erbacce, forse un vecchio muro. Possiamo usare i blocchi per fare le fondamenta e il “piede” della casa, e poi continuare col fango. Ci basterà per un 7-8 metri di lunghezza. Al tetto ci penseremo, ci sono tante possibilità e bisogna studiare. Ma iniziamo dal muro. Io metto i materiali e tu le mani d’oro. Mi hai detto che una volta hai fatto dei muretti a secco nel tuo giardino ad Arenzano, no? Zio, io voglio imparare a costruire, creare una casa abitabile da zero per poi fare questo nella vita. Capito io voglio vivere di rendita, e con quello che costano gli affitti in Israele se riesco a costruire delle case in fango nei posti giusti e affittarle bene posso “chiudere il banco” e lavorare solo per puro piacere personale. Baaretz posso vivere con 1500 shekel al mese, chiaramente vivendo in natura senza affitto da pagare, e in India mi bastano 500 shekel al mese, escluso il volo di andata. Il lavoro è edificante solo se non lo fai per soldi, ma per passione, altrimenti sei schiavo. Tipo se ti dicessi adesso che hai tutti i soldi che vuoi, ti alzeresti ancora la mattina per andare in laboratorio e avere la borsa di studio? Vabè ok ma il 99% delle persone smetterebbe di lavorare perchè lavorano per sopravvivere, non per crescere e imparare. Ad ogni modo vieni a fare un sopralluogo, ho portato un sacco di sabbia e della paglia per fare dei test con la terra per trovare la miscela giusta. Zio, è una figata. Così iniziò il nostro progetto della casa di fango, in un giardino che puzzava di piscia di gatto, coperto di erbacce e ferri vecchi, un cumulo di sacchi di sabbia e due balle di paglia che David aveva recuperato a Modi’in – perchè, zio, incredibile ma nessuno a Gerusalemme centro vende balle di paglia. Lo trovavo nell’antro di casa sua, accucciato sul computer o su libri di costruzione col fango comprati su Amazon. Era giugno, entro inizio luglio avevamo scavato le fondamenta, posto un metro di pietre a secco come piede e un 20 centimetri di fango. Partivo per qualche settimana in Italia.
Al mio ritorno David mi dice che il mercato AirBnb è esploso, a Gerusalemme tutti gli studenti affittano e il mercato è invaso di camere a poco, è una lotta a colpi di feedback per comparire sui primi risultati nel motore di ricerca. Non stiamo guadagnando come previsto, ma stiamo a galla. Di lì a due mesi avremmo ceduto il contratto d’affitto con tutti i mobili. Non ci saremmo seduti mai più sul divano a forma di onda. Mi dice anche che si libera una camera a casa sua, se voglio andare a vivere con lui e Maxim. Il muro non l’ha più toccato ma è duro come cemento.
[la storia continua qui]