Per un pugno di grammi

Le regole d’imbarco bagagli sul sito Alitalia sono vaghe e dettagliate, come nella migliore tradizione burocratica italiana. Dettagliate, perchè organizzate in categorie esaustive e gerarchiche; vaghe, perchè ai criteri nominali non seguono definizioni operative: ci sono restrizioni igieniche sui cibi ammessi in bagaglio a mano, ma non è dato sapere quali; è vietato portare oggetti contundenti, ma sta al viaggiatore evincere la definizione di contundenza a partire dai pochi esempi, tutti corredati da disegnino, che si trovano sul sito; formalmente è ammesso un solo bagaglio a mano di tot chili e tot volume, ma si può dedurre che due colli di ugual misura totale saranno ammessi. Elenchi e tariffe per trasporti speciali sono incastonate in un arcipelago di link esterni che, si sa, l’utente medio non ha la forza di visitare. D’altra parte non c’è da biasimarli, non si è mai visto un perfetto inventario del mondo e un po’ di sano buon senso è la chiave per qualsiasi buona ontologia. La soluzione migliore per chi vuole tirare un po’ la corda, a fine consultazione, è preparare una strategia.

L’italiano partirà sempre dal principio della scarsa informazione disponibile: il sito non era chiaro, il regolamento sulla carta d’imbarco non era abbastanza esplicito, l’ufficio informazioni Alitalia era chiuso. Tutto per poter arrivare con ragione a sostenere di non sapere, o meglio, di non essere stato messo in condizione di sapere e che quindi la trasgressione, se c’è, è involontaria.

L’israeliano parte invece dal principio opposto, quello dell’informazione aggiuntiva: vero che sul sito è scritto così, ma altre fonti confermano il contrario. L’obiettivo è arrivare a saperla più lunga degli impiegati Alitalia.

In fase preparatoria, l’italiano costruirà a tavolino delle circostanze che giustifichino il proprio errore, puntando così a farla franca mantenendosi pulito. Più ancora che la vittoria, è importante la reputazione: mal che vada, il biasimo sarà d’ingenuità ma non di figlioputtanismo. La sua performance è una messinscena di umanità, il cui elemento chiave è l’empatia: quanto più riuscirà a far immedesimare l’impiegato nei suoi panni, tante più chances di successo il colpo avrà.

L’israeliano si organizza con una rete di contatti paracadute. Parte dal fatto che conosce, o può arrivare a contattare, qualcuno all’interno dell’organizzazione: invia mail, fa telefonate, mette in moto persone, scarica documenti, cercando di ottenere una qualche forma di lasciapassare scritto. L’israeliano la prende come una prova di forza in cui ogni colpo basso è ammesso, purchè funzioni, senza preoccuparsi dell’evidente circuizione premeditata che emerge dalle sue azioni: il concetto di figura di merda non esiste in ebraico, quel che conta è la ragione legale. Come è chiaro, la strategia dell’israeliano ha solo da perderci nell’immedesimazione dell’impiegato, che non può che constatare quanto il viaggiatore abbia lucidamente applicato le proprie energie per piegare il sistema alle proprie esigenze.

Sia l’italiano che l’israeliano arrivano al controllo bagagli facendo finta di niente, non si sa mai che vada tutto liscio. In caso di intoppo, si va in scena come da copione. Entrambi hanno predisposto un piano B per salvare il salvabile: un parente in attesa fuori dal metal detector pronto a ricevere gli eventuali oggetti non ammessi, un angolino vuoto nella valigia da imbarcare in stiva, uno zaino di riserva.

Durante la performance l’italiano si mostra stupito ed affranto, e sempre reverente. Il suo potere contrattuale sta nel senso di colpa che riesce a suscitare nel controllore, muovendo in lui uno scrupolo morale: la gravità dell’infrazione è proporzionata alla sofferenza che il rispetto della regola produrrà? Ogni leva emotiva è ammessa perchè, nella psicologia dell’italiano, la cosa più importante è passare per buono, è convincersi di aver fatto la cosa giusta. Il gravissimo difetto di questa strategia è che funziona solo con l’impiegato italiano: prova a sciogliere un controllore tedesco…

La forza dell’israeliano, una volta in scena, sta nel mostrarsi il quanto più possibile preparato e determinato. Parte sul piede di guerra, scandalizzandosi e indignandosi. Dispiega tutto l’arsenale tecnologico di cui dispone, dalle email sullo smartphone alle telefonate effettuate, dalle clausole in piccolo sulla carta d’imbarco a precedenti che gli danno ragione. La percezione dell’impiegato dev’essere di trovarsi di fronte ad una bella gatta da pelare: “Questo qui conosce il responsabile sicurezza, ha una mail del servizio clienti che gli dà ragione, ha il numero di matricola del centralinista con cui ha parlato. Impuntarsi vuol dire tirare in mezzo tutte queste persone, rischiando di metterle in difficoltà.” Lo scrupolo che sovviene all’impiegato è di natura economica: quanta energia mi richiede far rispettare la regola? E, di conseguenza, si chiede quanto ci tiene al rispetto delle regole della compagnia: forse non abbastanza da andare incontro ad un duello.

Concludendo, la strategia italiana è fatta d’improvvisazione e non richiede un grande impegno in fase preparatoria, solo notevoli doti artistiche e attenzione al linguaggio del corpo. Ha il vantaggio di tirare fuori il buono che c’è in ognuno di noi, controllore o impiegato che sia, facendo leva su un comune senso di umanità. L’italiano chiede un favore e paga in riconoscenza, e lo fa con grande stile.

La strategia israeliana richiede grande dedizione in fase preparatoria ma scarsissima lucidità in fase esecutiva: una volta attivato il piano, carta canta. Al contrario dell’omologo italiano, l’approccio israeliano si basa su di un’antropologia fondamentalmente negativa: se qualcuno può aiutarti, non lo farà. Dovrai costringerlo. Se ben preparata, è una strategia vincente e a basso rischio, ma rimane dall’alto payoff: in palio non c’è solo spuntarla sul bagaglio, ma la propria credibilità e il proprio potere sulle altre persone. Se perdi, vuol dire che non conti nulla nello scacchiere mondiale del controllo bagagli a mano.

Tutto questo per arrivare a dire che mi sono sentito proprio italiano poche ore fa, all’imbarco a Genova, quando il distinto signore romano davanti a me è stato fermato all’ingresso della passerella per l’aereo: “Signore, è ammesso un solo bagaglio a mano, e lei ne ha due. Deve pagare l’eccedenza”. Al posto che puntare il dito su di me e sul mio zainetto e la mia tracolla, tecnicamente pure due bagagli seppur di misura molto minore, il distinto signore mostra i palmi delle mani, chiede scusa per la svista e spiega che è un regalo per la sua bambina, è una borsa molto leggera e può tenerla sulle ginocchia, e che è molto importante che non vada in stiva perchè rischia di rovinarsi, e bla bla bla. La stessa storia avrà raccontato al metal detector, e pare l’abbia fatta franca. Non so come gli andò quest’ultima prova, perchè non vedevo l’ora di prendere posto e gustarmi i salatini di Alitalia e quindi lo lasciai alle mie spalle in balie delle due assistenti di volo, ma per un attimo mi sono sentito suo fratello: mi aveva già convinto, in fondo che fastidio dà una valigetta in più?

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