Calma e sangue freddo

Lunedì mattina ero come di consueto al piccolo zoo. Per prima cosa al mio arrivo, attorno alle 7, controllo l’acqua e il cibo dei roditori e dei pulcini, e il grado di umidità dell’incubatrice per le uova: galline, tacchini, galline ‘moshi’ (più piccole e buffe nei loro batuffoli di piume bianche), quaglie, pavoni, uccelli della passione, in questo periodo siamo pieni di nuovi arrivi che necessitano una discreta attenzione. Riempite le mangiatoie e i distributori d’acqua e sistemati le eventuali vittime della notte (pulcini o topolini selvatici caduti nelle nostre trappole con Bamba, sorta di patatina di arachidi, come esca) nel freezer o direttamente gettati in pasto al serpente, passo al recinto delle capre per la mungitura quotidiana. Per prima cosa rovescio nella mangiatoia una buona cassa di fieno, per zittire il loro belare affamato e abbassare i toni generali, dopodichè riempio un secchio di mistura di cereali dalla dispensa e porto il carrello con i barattoli per il latte le salviettine disinfettanti per le mammelle. Da brave caprette di Pavlov quali sono, al solo vedermi tornare col secchio verde iniziano a scalpitare spintonandosi davanti al cancelletto di ferro: perfino la nostra asinella, dall’altra parte della steccionata, inizia a ragliare speranzosa. La capra bianca, l’unica che mungiamo, non oppone resistenza al collare che le metto prima di saltare dentro il recinto e correre fino alla mangiatoia dove riverso la mistura, onde evitare qualche incornata dei famelici ovini. Sistemata la chiassosa combriccola di caprette di montagna e caprette nane, posso finalmente piazzare il secchio sotto il naso della capra da latte e mungere con metodo il quotidiano litro e mezzo da cui caveremo yogurt e labane (formaggio acido mediorientale da servire con olio e zatar, mistura di spezie, e da trangugiare a palettate di pittah). E’ proprio mentre mettevo i due barattoli caldi di latte appena munto in frigo che, controllata l’ora in attesa dell’arrivo di Hudi, il capo, mi accorgo di due chiamate perse dall’ufficio ulpan. Richiamo e mi risponde Shirli, comunicandomi che il giorno successivo avrei lavorato con il chatzran (letteralmente ‘uomo dei cortili’, praticamente il tuttofare arabo Hamudi che, con l’argentino Eric, vaga per il kibbutz a bordo di un trattorino con rimorchio per traslochi e trasporti eccezionali). E’ la seconda volta che mi chiedono in prestito, e a malincuore confermo l’appuntamento per il giorno successivo, alle 7 in ufficio: mi spiace perchè allo zoo abbiamo un po’ di progetti in ballo, dalla rete per fare ombra al recinto delle capre al nuovo giardino per le spezie da cui estrarremo gli olii essenziali al nuovo impianto d’irrigazione per i banani e le papaye appena piantante. In più Hudi mi ha promesso di mostrarmi come produrre un enzima naturale per il compost, a base di lievito di birra, fogliame di sottobosco e muffa bianca.

Al suo arrivo, annuncio a Hudi la novità e mi risponde che già lo avevano informato, la mattina stessa, e che si trovava nel pieno di una recriminazione: stizzito per lo strettissimo anticipo della comunicazione e per l’invadenza dell’ordine (nessuno gli chiese il permesso di ‘rubargli’ il lavoratore per un giorno), aveva già mandato un’email a Shirli, che a sua volta lo aveva già rimandato al gradino superiore da cui era partito l’ordine. Trovato il responsabile, di nuovo Hudi aveva mandato un’email di protesta: ‘L’ulpanista è l’unico nel kibbutz che sa come nutrire gli animali e mantenere lo zoo in caso di mia assenza, cosa succede se domani per un qualche motivo non riesco ad essere al lavoro? E se avessi preso un giorno di ferie? Nessuno me l’ha chiesto. Non è la prima volta che succede, allora piuttosto non datemi l’ulpanista e mi arrangio da solo’. In effetti, anche lui ha le sue ragioni. La giornata prosegue con il giro dei conigli e dei porcellini d’India, dei pappagalli verdi, dei lemuri e della cinghiala Mimi, la regina dello stagno senza una gamba. A sera, dopo lezione, è organizzata una festicciola degli ulpanisti in piscina: anguria sul prato, tuffi, pallavolo. Incontro a bordo vasca Shirli, trentenne nata nel kibbutz che se la spassa come referente di noi ragazzi dell’ulpan tra gite, feste e quant’altro, e non manco di buttarle lì un ‘…comunque ha ragione Hudi’, così per prenderla in giro. Non mi stupisco della sua dura reazione, messa in conto sia per il suo carattere che per i modi israeliani, e disquisiamo un po’ io prendendo le parti di Hudi e dello zoo in cui c’è tanto lavoro da portare avanti, lei accusando Hudi di aver tirato su un gran polverone per nulla e tirandosene fuori, avendo lei soltanto riferito la comunicazione e non preso la decisione.

Ieri mattina mi trovo infine con Eric, Hamudi e Martin dal Sud Africa, anche lui in preso in prestito dagli avocadi, per traslochi vari da una casa all’altra e di tonnellate di tavoli e sedie dal parco della piscina ad un altro giardino. Bella giornata, per metà passata sdraiato al sole sul montacarichi del trattorino su e giù per la giungla del kibbutz. Al ritorno in ufficio, per le 11 e mezza, Shirli chiede com’è andata e se è stato davvero così grave saltare un giorno allo zoo. Colgo l’occasione per dirle che l’appunto del giorno precedente era solo per ridere, che non ne so niente di tutta la questione e che tutto sommato è anche bello cambiare mansioni, ogni tanto. La sua faccia smunta dal fumo appare subito più rilassata e si stende in un sorriso: ‘Bene che ci sei arrivato da solo, perchè pensavo che avessi frainteso un po’ i ruoli. Non sai niente di come funziona e…’ ‘e non voglio sapere’, la interrompo. Si chiude così la questione, con un nescaffè tiepido e un commento alla prima pagina del giornale, con un pazzo che ha fatto 4 morti in una banca a Beer Sheva perchè non gli avevano concesso il prestito: ‘Quasi come in America’, è il commento asciutto di Amir, l’altro responsabile da dietro il desk.

Stamattina invece ero di nuovo allo zoo, a mio agio tra le capre scalmanate e la cinghiala viziata. A bordo del nostro trattorino, saliamo in sala da pranzo per le solite 8 e mezza, affamati come lupi. Sto gironzolando tra i carrelli delle insalate quando vedo Shirli, di schiena a Hudi, che si serve due fette di pancarrè. Non appena lo nota, gli bussa sulla schiena e gli butta lì sarcastica: ‘Hudi, non l’avrai mica presa sul personale?’ ‘Mah hapitom! Figurati! Solo non ti avevo vista. Sai che è una mia vecchia battaglia sugli ulpanisti, ma ho già scritto alla segreteria’ ciao-ciao, ciao-ciao e si chiude così la questione. La scena mi ha spiazzato. Non ero pronto a questa irruzione dei rapporti professionali nella vita privata, non l’avevo considerata. Mangiando il mio panino cetrioli-pomodoro-uova ritorno mentalmente sugli accadimenti e mi è chiaro che si è sfiorata la crisi diplomatica: bastava che m’impuntassi per rimanere allo zoo o che Shirli o Hudi la prendessero davvero sul personale a innescare la spaccatura e trascinare il kibbutz in una faida. Chi con chi, e chi contro chi per questioni passate, conti in sospeso, simpatie e invidie: una palla di neve difficile da arginare quando si siede tutti a due passi in sala da pranzo, si va insieme in piscina, si hanno i figli a scuola insieme, si bisbiglia di sera ai tavolini del caffè. Hudi e Shirli hanno più o meno la stessa età, avranno di certo fatto giochi e vacanze insieme, recite e attività al moadon con l’ulpanista dei tempi, e come già sarà capitato in altre occasione con altri vecchi amici si sono trovati ad avere interessi e direttive conflittuali, e a doverle risolvere del tutto e in fretta prima che si arrivi davvero a togliersi il saluto in sala da pranzo. I racconti che sentiamo lasciano intendere che su queste cose crolla un kibbutz. Ho molto apprezzato il gesto di Shirli, mi ha quasi commosso: capire che facendosi nemici non si va da nessuna parte, e che malgrado tutto bisogna venirsi incontro. Quanta pazienza questi kibbutznikim…

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