I miei bambini arrivano in sala da pranzo per l’una e venti, e per prima cosa si lavano tutti le mani nei bagni; poi si mettono in fila davanti al buffet del cibo. Chiaramente, il tutto correndo. Il menu varia ogni giorno, con portata di carne e pesce e diversi contorni dal riso alla pasta al cuscus; immancabile la minestra, sempre gettonatissima. A tavola c’è chi spazza il piatto in cinque minuti e si va a sedere sulle panche all’ingresso giochicchiando e aspettando che un educatore accompagni il primo drappello al moadon. La vera sfida è far mangiare le principessine, sempre le solite quattro o cinque, che si perdono in discorsi spiluccando un chicco di riso ogni cinque minuti. Con Mika e Nomi, l’altroieri, ho infine puntato sull’astuzia: ‘Facciamo un gioco, una gara. Quando alzo un dito vuol dire ‘riso’, due ‘patatine’, tre ‘polpettone’, vediamo chi è più veloce.’ Non è servito mettere un premio in palio. L’intuizione mi è venuta da Iasmin, che ogni giorno prima del gioco del nostro accordo (‘Mi siedo con voi solo se si mangia e non si chiacchiera’) mi raccomandava che pugno chiuso vuol dire ‘Pus! Pus!’ (il nostro ‘arimo’, ferma il gioco) e mano aperta ‘bagno’. Mi viene in mente mia sorella Sara e la sua ‘bambola coi sessantaquattro bottoni’ attivata con altrettanti improponibili segni, che la mamma avrebbe dovuto prontamente imparare. Con l’andare del gioco abbiamo introdotto anche pollice verso, ‘acqua’, onde evitare che si strozzassero nella foga della competizione. Primo posto a Mika, con 12 punti a 10. Finito il pranzo ciascuno sparecchia il proprio vassoio e, traballando sotto il peso, sistema le stoviglie sul carrello; non c’è bisogno di sollecitarli.
Qualche volta al mese la mamma o il papà di qualche bambino va in classe a tenere brevi lezioni sul proprio lavoro: un software manager di Google Earth, un guardiaparco, un dirigente di Plasson (la fabbrica del kibbutz), un segretario degli uffici amministrativi del kibbutz. Alle due e mezza, nel moadon, si tiene la quotidiana ‘conversazione’: avvisi da parte degli educatori e spiegazione delle attività pomeridiane. La seconda parte della seduta consiste negli interventi dei bambini che, per alzata di mano, fanno domande o rispondono a quelle di Rinat e Anat, o semplicemente esprimono quel che hanno da dire: parlano solennemente, chi più timido chi fissando negli occhi, facendo uno sforzo per esternare in modo chiaro il loro sentire. Gli educatori commentano sempre l’intervento: ‘grazie, interessante’, ‘non c’entra col nostro argomento’, ‘perchè dici questo?’, ‘chiedi alla maestra’, ‘non ho capito bene quello che intendi. Ripeti per favore’. Qualche giorno fa, in seguito alla lettura di una storia scritta da Yanir e Roni che i bambini avrebbero dovuto tradurre in immagini, ciascuno un capitolo, Noam ha preso la parola per dire ‘Questa storia è uno schifo’. Roni, sempre pacata, ha commentato che non è bello umiliare il lavoro altrui in pubblico, perchè comunque sono state spese energie; a volte è meglio tacere, se si vuole solo ferire delle persone. Il silenzio stavolta dura un po’ di più. Alza la mano Mika, che con voce sommessa, quasi risentita, dichiara: ‘Roni, io invece trovo che la tua storia sia bellissima. Mi è piaciuta molto’. ‘Grazie, Mika’. La conversazione pomeridiana è un momento serio in cui nessuno ride e chi disturba è invitato a sedersi al tavolo degli educatori, nella sala a fianco. L’invito è espresso a voce bassa, più volte se non viene ascoltato; si dice che non è uno scherzo ma una vera richiesta; in caso estremo, si ferma la seduta finchè il bambino non si alza di propria volontà: gli educatori non minacciano ‘se non ti alzi…’, nè si avvicinano, men che meno prendono per mano e portano via. Vietato il contatto fisico, l’autorità è espressa per contatto visivo. Ho molto da imparare da loro. E’ responsabilità dei bambini rimettere a posto i pennarelli e i giochi dopo l’uso, ieri Roni mi ha fermato mentre lo facevo al posto loro; grave punizione è inflitta a chi interrompe un compagno nel suo intervento alla conversazione; ma a parte questo, non bisticciano praticamente mai.
A turno, un bambino a settimana, c’è un pomeriggio uno-a-uno con l’educatore a scelta: a sua completa disposizione, si può fare un gioco, costruire, disegnare, cucinare, passeggiare mentre gli altri fanno attività. Ieri era il turno di Yuval, che con Yanir ci ha preparato un’eccezionale torta al cioccolato. E’ stata poi sua premura impiattare le fette e distribuirle a ciascuno di noi, orgogliosa della sua creazione. Spesso un drappello di tre o quattro chiede la sala grande per esercitarsi in segreto, e a fine pomeriggio mostrare i risultati in uno show per tutta la classe: balletto di musica classica, scenette o mosse di hip-hop.

Due giorni fa era previsto il settimanale pomeriggio di barca a vela, ma visto il forte vento l’istruttrice è venuta al moadon a proporre un’attività alternativa. Per prima cosa ha chiesto chi sapesse che vento tirasse, quanto forte, da dove, come fosse il mare: ha sollecitato i bambini a guardarsi intorno quando escono di casa al mattino. Poi ha raccontato che una israeliana ha vinto l’ultimo mondiale di wind-surf, e che ha fatto parte dei suoi allenamenti a Maagan Michael. L’attività sostituiva consisteva in una gita al Fiume dei Coccodrilli…in trattore! Esplode il boato, tutti eccitati per il giro in trattore. Scendiamo a piedi fino al piazzale della palestra, lì ci aspetta un trattore con a traino tre carri arredati con panche di legno. Si parte, passando lo sterrato che fiancheggià le piscine giù giù fino al mare, sfociamo in spiaggia e i bambini gridano all’autista ‘Mare! Mare!’: il trattore sterza e va frangere le onde sulla battigia. Sono esaltati, gridano nel vento puntando col dito ai kite-surf che fanno acrobazie sulle onde. Pieghiamo di nuovo verso l’interno, passando altre vasche dei pesci invase da aironi, alcuni inscheletriti appesi a testa in giù impigliati nelle reti di protezione. Passiamo una collina gialla di fiori e infine arriviamo al famoso Fiume dei Coccodrilli: un cannetto, eucalipti, pietre bianche spuntano qua e là, fiori, e un piccolo corso d’acqua azzurra azzurra. Più giù, delle rovine del tempo di Erode; più su delle caverne preistoriche. C’incamminiamo verso il ponticello sulle rovine e passiamo il cimitero del kibbutz; Iasmin mi grida, da sopra le mie spalle dove è seduta, che prima era un cimitero arabo: per lei è un’informazione come altre. Di fianco al ponticello, sotto la cascata, in un laghetto girano decine di enormi e schifosi pesci gatto, che si azzuffano per accaparrarsi i bocconi di pane che lanciamo dall’alto. Qualcuno si perde tra le rovine di quello che sembra un tempio, poi torna. Ci sediamo tutti sul prato per merenda, thè biscotti e mela, e si aspetta per il bis finchè tutti hanno preso il primo giro. Ed è già ora di tornare a casa.
Ooooh… i TUOI bambini 🙂
Educazione con gli sguardi, quasi come da noi
…certo che sei in un brutto posto, e poco suggestivo, cimiteri israeliani un tempo arabi, tra delle grotte preistoriche e le rovine di un tempio di erode… Belin! 😉
Baci baci