Il clima elettorale, con il voto di fresco alle spalle, non mi ha risparmiato qualche sparsa conversazione di politica e, di conseguenza, qualche domanda sulla situazione italiana. In genere si apre con una incredula battuta sulle ragazzine di Berlusconi: ‘Ma è vero che se la fa con le minorenni? Ah ah, bunga bunga!’, a cui in genere rispondo con un sorriso tirato. Spesso chiedono di economia, di come mai siamo in crisi e di come si vive, quante ore di lavoro si fanno e quando si va in pensione, di quanto costa un caffè e a che età i ragazzi escono di casa. Ormai da tempo ho smesso di provare gusto nel raccontare delle nostre sciagure, con quella tinta catartica di chi accusando ritrova la propria dignità, e in diverse occasioni ho preferito lasciar cadere l’argomento ripiegando sul facile stereotipo di un Bel Paese di grandi monumenti, buon cibo, bei vestiti. Poi, ieri, ho capito che il bunga bunga è parte integrante del nostro stereotipo attuale, è ciò che da fuori dicono e pensano di noi con la pizza e al mandolino.
Dell’Italia di oggi ci sono cose difficili da raccontare, cose che fa vergogna confessare. Noi che da una parte vantiamo la storia romana, l’invenzione del diritto, il dolce stil novo, Leonardo e Marconi, come ce la caviamo a raccontare cos’è il Parlamento, oggi, quando ci chiedono come funziona? E’ davvero penoso dover spiegare a Netta che abbiamo quasi 1000 parlamentari, contro i 140 israeliani, che votano in branchi chiamati ‘gruppi’ guidati da un maschio alfa che pensa per loro, che è abitudine votare per i colleghi assenti (i ‘pianisti’), che le sedute sono pressochè deserte e i pochi presenti leggono il giornale, chiacchierano e, i più spudorati, dormono, e che per questo servizio civico guadagnano un’oscenità di soldi; che sono nominati dal logo che i cittadini votano, e non eletti direttamente, ma che non hanno obbligo di mandato sul logo, cioè possono cambiare il partito che li ha nominati il giorno dopo le elezioni; che hanno un prezzo (tra i 35 e i 25 mila euro per la Camera) e che ad ogni crisi di governo riapre il mercato, che se intervistati non sanno interpretare un testo di legge né tanto meno spiegare come funziona il Parlamento bicamerale in cui siedono; che hanno una valanga di privilegi, dal parrucchiere all’immunità parlamentare per cui il procedimento delle indagini su uno di loro viene messo al voto dell’assemblea; che c’è tra loro chi scrive leggi con valore retroattivo a cui il giorno dopo si appellerà in tribunale per difendere l’imputato da cui riceve lo stipendio, imputato che è anche il proprio leader politico. Che li chiamiamo ‘onorevoli’, come nel medioevo ‘sua maestà’.
Poi c’è il governo, con la metastasi di decreti legge per questioni di assoluta non-emergenza di salute pubblica, ma piuttosto di esigenze private dal blocco delle intercettazioni come prova nel processo al salvataggio di televisioni e imprese illegali; il ricatto del voto di fiducia sotto i 2 anni di mandato parlamentare (data in cui scatta il vitalizio altrettanto osceno) con cui passano veri e propri suicidi civici ed economici come scudi fiscali nell’anonimato a tassazione irrisoria e condoni edilizi fino al 20 % (il 20%, un quinto delle dimensioni legali della casa!). Dette ad alta voce a chi non le sa, queste cose sono gravi. Qui in Medio Oriente la mamma di Nadav di lavoro controlla foto aeree di Tel Aviv scattate ogni settimana e manda multe a chiunque faccia abusi edilizi, dal garage al gazebo; qui in una nazione nata ieri esiste solo il voto di sfiducia, proposto dall’opposizione come veto al governo; qui in uno Stato pressochè confessionale (roba che in Europa abbiamo superato nel ‘700) i ragazzi al militare, come tutta la gerarchia marziale, non hanno diritto di voto e di partecipazione a manifestazioni politiche in quanto, per l’obbedienza e fedeltà loro richiesta ai superiori, non sono nello status di cittadini liberi; qui nel Paese da sempre in guerra con gli arabi confinanti e in guerriglia con quelli interni c’è un partito degli arabi israeliani (2 milioni di cittadini) che contestano in Parlamento la stessa legittimità ad esistere dell’Israele attuale.
C’è l’informazione, capitolo buio della nostra democrazia, su cui non so da che parte cominciare e mi mordo la lingua quando sento denunciare con rabbia, qui in Medio Oriente, lo scandalo di un giornale di proprietà di un magnate simpatizzante per il presidente Netanyahu che viene distribuito gratis, giocando sporco sulla concorrenza e quindi sulla libertà d’informazione. Da dove dovrei cominciare, io che sono cresciuto con sei canali televisivi di cui tre di Sua proprietà e gli altri tre i cui dirigenti erano di Sua nomina? Dai due decreti di Craxi salva-berlusconi, dalla pax televisiva, dalla legge Gasparri, dall’editto bulgaro o dalla legge bavaglio? Dall’inesistenza di fatto di una commissione antitrust, dal primo porno su Canale 5, dall’ipertrofia di spot pubblicitari o sull’attuale Porta a Porta? Dalla prima dirigenza di Forza Italia consistente nel consiglio d’amministrazione di Publitalia ’80, o dalla più generale verità metafisica dell’identità tra il servizio nazionale d’informazione e la volontà di un unico gruppo d’interessi con a capo sempre il solito frontman, nel settore da quasi 40 anni? Spesso non comincio nemmeno, visto il ginepraio d’intrighi che ha portato a questa situazione, e mi rintano in un luttoso silenzio. Che gli israeliani non sappiano, che non giudichino: è dura, per me europeo, prendere lezioni di democrazia da quelli che dovrebbero essere i pivelli della civilità, quella civilità che abbiamo costruito noi ad Atene, Roma e Parigi. Noi che conosciamo Ulisse, appunto.
Per fortuna gli israeliani sono abbastanza concentrati sui loro problemi da non mettere il naso fuori, da non chiedermi oltre, da non incrinare il loro stereotipo di un’Europa elegante, ricca, ideale, giusta, facile, di cui l’Italia farebbe parte. Ma a me, dentro, viene da piangere. Come tutti questi grandiosi accorgimenti, tesi a creare la democrazia perfetta, siano stati sistematicamente circuiti nella loro intenzione per bassi scopi di piccoli uomini, al punto che non sappiamo come uscirne, questo resta per me un mistero. Non c’ero quando queste cattive abitudini sono iniziate, ci sono nato dentro.
Ancor più male, però, mi fa tenere dentro le meravigliose ragioni giuridiche di quelle che sono diventate le nostre patologie di sistema, non potendo spiegare in cinque minuti quale intelligenza fina, smussata in ogni angolo da secoli di politica e morti al cui confronto la situazione israelo-palestinese è davvero un bimbo in fasce, ha infine prodotto la libertà dal mandato politico, per concedere al rappresentante di cambiare idea adeguandosi ai fatti, il bicameralismo perfetto, a garanzia di un controllo reciproco sull’antica traccia dei consoli, il decreto legge del governo, per far fronte all’emergenza con quella rapidità di cui la discussione parlamentare è carente, il vastissimo numero di parlamentari, affinchè i punti di vista sulla politica vengano aumentati e lo spettro del totalitarismo scacciato per sempre, l’elettorato passivo senza restrizioni, affinchè chiunque possa mettere al servizio della cittadinanza le proprie idee nonostante le proprie azioni e sia tutelata l’indipendenza tra i poteri dello Stato, l’immunità parlamentare, di nuovo a garanzia della effettiva tripartizione del potere. Sono princìpi di civiltà immortali, sono la vera religione del nostro tempo, ciò che ci salva dall’essere bestie comandanti o comandate. Ma come spiegarlo oltre lo spesso strato di merda che ricopre la nostra politica? Con quale faccia un italiano può pretendere credibilità in merito, oggi?