Ieri sera, durante la proiezione su mia proposta di Mediterraneo di Salvatores, ho scoperto che i miei coetanei israeliani non conoscono Ulisse, le sue avventure coi ciclopi e i suoi dieci anni sulla sperduta isola di Calipso, che letteralmente lo ‘ruba’ alla Storia proprio come i soldati di Abbatantuono, nel film, sono esclusi dal mondo dalle circonzanze. Qui non sanno delle sirene e dell’astuzia di Ulisse per riuscire a sopravvivere al loro canto, non sanno dei proci e del trucco della tela di Penelope, non hanno pianto per la morte d’emozione del cane Argo, che riconosce il padrone nonostante il travestimento divino. Non sanno degli aèdi e dei simposi greci, di come nessuno sa spiegarci se è una storia diventata racconto o un racconto diventato storia, la nostra storia.
Sono sconvolto. Dove sono finito? Non poter condividere Ulisse è come rinnegare una parte di me, della mia infanzia e delle storie con cui mi sono addormentato per anni, delle versioni di greco e di un intero universo che è davvero, per me, Mediterraneo. D’altra parte, proprio questi vuoti sono ció che regalano i viaggi e per cui continuiamo a partire, arrivando fin là dove non si possono dare per scontato alcuni tra i nostri retaggi piú profondi. E anzi, ricorsivamente, proprio di questi buchi è costituita la rete delle avventure di Ulisse, il viaggiatore per eccellenza.