
Oggi è accaduto tutto. Per prima cosa, stamattina, mi sono recato nell’ufficio di Cino con la determinazione di ottenere da lui ciò che non riesco a ottenere da Alona: il trasferimento ai datteri. Purtroppo, trovo il suo ufficio chiuso: è già tornato in Argentina per una visita alla famiglia. In un cinque minuti di pausa al lavoro chiedo aggiornamenti sulla situazione ad Alona, nel suo rituale giretto di metà mattina in sala da pranzo: mi dice che tre nuovi volontari tedeschi stanno per arrivare freschi di giornata. Dove lavoreranno? Le ragazze ai datteri, il ragazzo al Miznon. Non faccio in tempo a incazzarmi perchè se ne va, e immediatamente il desiderio di una resa dei conti sale prepotente dentro di me: prima o poi la ribeccherò in giro, non mi scapperà. Così è, un’oretta più tardi, al piano terra. Attacca lei, dicendomi di andare immediatamente da Ioki, il capo delle cucine, per fissare le mie ferie di dicembre. Le mie ferie sono dal 26 dicembre, le ricordo, ciò significa che fino a tale data starò nelle cucine? Probabilmente sì, risponde, non mi devo illudere su alcun trasferimento. Non mi trattengo: e com’è che ieri mi hai detto che se non ai datteri potrò se non altro passare al Miznon, dove la maggioranza sono israeliani? E com’è che sulle prime il problema era Ran, il responsabile dei datteri, che non voleva uomini e che invece è venuto a cercarmi di persona? In quella, passa un ragazzone del gruppo di Ran che irrompendo nella tensione mi fa: ‘Sei tu Lorenzo? Quello che parla ebraico? Vieni a lavorare con noi!’. Alona lo avvisa che voglio una settimana di ferie a dicembre, ma lui alza le spalle: ‘Basta che lavori bene’. E mentre esce dalla porta a vetri gli grido che lavoro benissimo. Poi torno ad Alona, inizio a inchiodarla su tutti i suoi cambiamenti di umore e motivazione e le chiedo di dirmi quale sia il problema per il mio trasferimento ai datteri, di modo che possa trovare una soluzione o, se soluzione non c’è, farmene una ragione. Fondamentalmente, voglio capire cosa c’è sotto, ma non c’è verso di scucirglielo. Evasiva, rimanda tutto al ‘sistema’ che ha bisogno e liquida i miei come capricci: appunto, ribatto, al sistema non interessa se sono io in sala da pranzo o un collega che non parla ebraico, purchè qualcuno pulisca i tavoli! Il tutto si svolge da un incipit in inglese (non voglio rischiare di non capire passaggi importanti), una buona parte in ebraico e spuntatine di spagnolo proprio quando vuole tagliare il discorso senza lasciarmi possibilità di controbattere. Le chiedo di parlare in inglese, e mi schernisce sul fatto che tutta la discussione parte dal fatto che voglio parlare ebraico.La scambio si chiude con un nulla di fatto, mi farà sapere se Ioki ha bisogno di me o meno. Lo becco in cucina dopo dieci minuti, e in malomodo mi dice che dal giorno non lavorerò più con lui: Alona mi sposta al Miznon, il tedesco prenderà il mio posto. L’ha trovato prima lei, e chissà che versione dei fatti gli ha raccontato. Peccato, perchè con Ioki lavoravo benissimo.
Il Miznon è un ristorante per turisti, amministrato da due kibbuznikim trentenni molto disponibili con i lavoratori, è dotato di wi-fi e offre un ottimo gelato fatto in casa. Le mansioni vanno dalla lavapiatti allo scarico merci alla cucina alla sala, come in ogni ristorante, e domani alle dieci saprò quale mi assegna la sorte. Tutto sommato sono contento, il lavoro è sicuramente meno faticoso delle piantagioni, ma anche meno interessante. Non saprò mai i tempi di fioritura delle palme e la resa annua, quanta acqua richiedono e quanti anni bisogna aspettare per la prima raccolta. Parlerò ebraico, pare, ma ho comunque un retrogusto amaro. Primo, perchè con questo trasferimento a sorpresa Alona ha spazzato dal campo ogni possibilità di ulteriore trasferimento ai datteri, secondo perchè non sono riuscito a scoprire quale logica segue il gioco, se vi è una logica. Infatti nell’ambiente, fin dal primo giorno, mi mettono sull’avviso con Alona: pare non essere equilibrata né particolarmente acuta, solo molto lunatica. Tra i volontari vecchi, la odiano tutti per dispetti analoghi. Vabè. Ho già comunicato a Omri il triste evento che ci impedirà di lavorare insieme, e in effetti ci è rimasto male. Abbiamo però convenuto che si potrebbe andare a vivere insieme l’anno prossimo, dal momento che saremo entrambi a Gerusalemme: lui vuole diventare guida turistica d’Israele. E’ uno studio tosto, ma remunerativo. I colleghi volontari della sala da pranzo, che hanno seguito e commentato in tempo reale le fasi dello scontro, sono felici per me e hanno deciso di chiudere il mio ultimo turno in lavapiatti con una battaglia d’acqua, con le due pompe a getto: mitragliate da ogni parte, la sala macchine grondante e noi zuppi con gli ultimi commensali che, mentre posano i vassoi sul nastro nell’infuriare del combattimento, se la gignano tra un monito e un puntuale rimprovero: ‘Israele è una terra senza acqua’. Lo sappiamo, ma ci sta anche festeggiare, quando il pretesto lo consente. Le due colleghe di sala israeliane sono dispiaciute, ma non offese. In fondo, continuerò a vederle a ogni pasto. Lascio il refettorio sotto lo sguardo rigido della cuoca più dura, che mi accusa di tradimento bandendomi dalla sala da pranzo: in realtà mi ama, da quando per primo ho capito che vuole scodelle quadrate da insalata davanti alle ciotole smussate da yogurt.

Nel primo pomeriggio, con i miei coinquilini koreani Liu e Gaan, trasferiamo la nostra paccottiglia nel nuovo appartamento che abbiamo conquistato, dopo la partenza di ben 7 volontari di ieri, di fronte al bunker internet. E’ l’appartamento più bello, due camere triple veranda e parco antistante. Nell’altra stanza dormono Bomi, l’altra koreana, e la cinese Yi. Pare che farò spuntini di mezzanotte a base di noodles, per un po’. Abbiamo girato l’appartamento, sudicio in modo indicibile, come un calzino. Io ho conquistato l’unico letto a una piazza e mezza, forse come onore all’Europa, e il tutto è venuto fuori una figata. Ho anche risistemato e testato l’amaca, e ora dondola mollemente a fianco alla festicciola imbandita per i nuovi arrivati. Alle tre meno dieci mi chiama Alona, in ebraico si assicura che abbiamo pulito la vecchia casa e che ci siamo sistemati bene nella nuova. E’ gentile, quasi premurosa. Mi chiede, qui invece in inglese per farsi capire anche ai tedeschi in ascolto di fianco a lei, di andare alle tre e un quarto a prelevarli in sala pranzo e portarli in giro per un tour illustrativo e alle 4 e mezza al bunker vestiti: dopo tre anni di IES, guidare stranieri appena arrivati è come tornare a casa. Li porto alla lavanderia, facciamo un giro alla latteria e al bunker internet, poi agli appartamenti dei lavoratori e infine a casa per un po’ di relax. Mi richiama Alona, e stavolta in spagnolo mi chiede se alle sei e mezza li posso portare a cena e dopo alla posta, per spiegare come funziona. Sono stupito e soddisfatto. Ho imparato che vedersi affidare compiti non è mai una punizione, ma un potenziale salto di qualità: da una parte vuol dire che il superiore già si fida, dall’altra che vuole potersi fidare di più. Inoltre, chiude la telefonata augurandomi un buon inzio al Miznon e con una perla: ‘Lorenzo, una persona felice è felice dovunque la metti. Starai bene.’