
Un articoletto sull’Haaretz English di ieri (un giorno prima dei tre morti israeliani per un razzo di Hamas), giornale che ritiro ogni mattina dalla cassetta di posta ‘Volontari’ e che sfoglio, con l’International Tribune,tra un carrello e l’altro del nastro trasportatore, recava la voce di protesta dei coniugi Popov, residenti in Kyriat Malachi: entrambi sordi, lamentano per l’ennesima volta il panico in cui sono trovati mercoledì al vedere d’improvviso la strada davanti a loro svuotarsi, le macchine fermarsi e la gente correre in ogni direzione verso i rifugi anti missilistici. Con qualche secondo di ritardo sul mondo degli udenti circostante, hanno infine capito che la sirena stava suonando, ma è proprio su questi pochi cruciali secondi che si protrae ormai da tempo la crociata delle varie associazioni dei sordi locali e nazionali nonchè, infine, quella personale dei Popov. Quando si trovano nella loro cittadina è diverso, il vicinato sa del loro handicap e allo scattare dell’allarme qualcuno li trascina da dietro fino al primo rifugio. Da tempo hanno ricevuto in dotazione un software che, installato sul classico apparecchio auricolare, riceve in wi-fi il segnale d’allarme e lo traduce in un penetrante beep. Purtroppo, lamentano i Popov, il segnale non è calibrato sugli spostamenti del portatore e quindi, come è capitato mercoledì mentre i due si trovavano fuori dalla loro normale zona di residenza, la sirena per loro non ha suonato. D’altra parte, rimbalzano i portavoce delle altre associazioni, non ha neanche senso mandare il segnale a prescindere dalla posizione del portatore: perchè un sordo in vacanza a Parigi dovrebbe sussultare di paura di fronte alla Gioconda? La richiesta, inoltrata alle IDF e al governo, è di regolare i parametri d’invio del segnale tanto sulla zona di residenza del portatore quanto sulla sua effettiva posizione geografica nonchè, chiaramente, sull’attesa traiettoria d’atterraggio del missile. Vale a dire, introdurre un GPS su ciascun apparecchio e, aggiungono, un account online su cui riportare uptades sulla propria posizione e inoltrare immediatamente le notifiche sui malfunzionamenti che, anche per l’eccellenti forze militari israeliani, non mancano mai. Insomma, un paradossale quanto già visto tran tran di movimentismo, burocrazia, tempi di attesa, petizioni, raccolte firme, sensibilizzazioni…manco fosse una questione di vita o di morte.
Guerra è anche un messaggio facebook di un amica studente a Beer Sheba, nel raggio dei missili Fajr 5 di produzione iraniana e in dotazione ad Hamas, che coglie l’occasione per un saluto e invitarsi nel sicuro Yotvata, lontano da bombe e sirene. Al suo ritorno a Tel Aviv, è stata accolta dalla stessa sirena, che è risuonta nell’aria della città dello sballo per la prima volta da quando aveva un anno: i due mancati colpi a Tel Aviv hanno fatto breccia nella corazza d’invincibilità degli israeliani, e finiamo per darci appuntamento in un futuro weekend nella big city, augurandoci momenti migliori.
La guerra vissuta, o per adesso guerriglia, è molto più umana di quella dei giornali: è una questione di pari opportunità, è un pretesto per scambiarsi saluti, è una battuta di una cuoca sul ritmo arabeggiante di ‘Galvanize’ dei Chemical Brothers (‘proprio oggi?’), è un argomento di discussione conviviale che infiamma la divergenza di prospettive tra interventismo di Eitan e il disimpegno di Dani, o che lascia del tutto indifferente il fatalismo del kibbuznik di cui non ricordo il nome che, rasato a zero con un ciuffo perennemente ingellato, è pure in età da riservista: la guerrà ci sarà, è solo questione di capire quando…hai mica un accendino?