Ma chi ha inventato i lucchetti?

Casco di banane all’angolo delle nostre abitazioni.

Giovedì e venerdì ho perfezionato la logistica della mia sala macchina, per otto ore al giorno, definitivamente elevandomi al rango di Capo Smistatore. Sono bravo, anzi, forse troppo visto che da lunedì avrei dovuto fare sala e invece, ahimè, mi lasciando ancora nel regno dei vapori. L’unica nota negativa, oltre all’alienazione che però, da un certo punto di vista, può essere assimilata alle sostanze psicoattive, è il fatto che non parlo ebraico nelle ore di lavoro: il massimo a cui posso aspirare, oltre ai boqer tov di rito, è iniziare una discussione coi cuochi su quanto sia meglio mettere i taglieri piccoli in orizzontale su quelli grandi piuttosto che allinearli in verticale. La pausa colazione, alle 7 e mezza, pranzo, alle 11 e mezza e infine il relax totale dopo aver lavato e chiuso la cucina, alle 2, è finora la miglior esperienza interculturale: cuochi yemeniti, pelapatate svedesi, mescolatori israeliani, scaricatori etiopi, trasportatori danesi, lavapiatti ecuadoriani, la stanchezza non fa distinzioni di rango e razza. Stramazziamo sulle sedie con le gambe gonfie e i talloni rotti, ciascuno con le sue ritualità: per me è un ‘espresso’ doppio, per gli svedesi un pastrugno di yogurt e marmellate fosforescenti, per le danesi prosciutto e uovo, a qualsiasi ora, per i sudamericani cereali e cioccolato, per gli africani insalata di tonno e funghi, per gli israeliani cetrioli e humus.

Il kibbutz si presenta come un tranquillo villaggio, prevalentemente pianeggiante qua e là puntellata da collinette, silenzioso e fiorente: le casette basse, al massimo di due piani nella zona dei ‘casermoni’ dei lavoratori, sono uno spudorato spaccato della vita che ospitano. Carrozzine, vasche da bagno, biciclette, gioccattoli, tavolini sdraio, sedie (o spesso sedili di macchina divelti e rigorosamente lacerati), si accozzano sul prato circostante e solo questa distribuzione entropica dei propri oggetti segna un vago concetto di confine e proprietà. Niente di più lontano dalle pallizzate camuffate da recinti per il cane delle classiche villette a schiera dei suburbs americani e, ahimè, europei. Il mio scrupolo per la proprietà privata è pungolato solo dalla caccia al wi-fi, sempre presente e senza chiavi WPA di

Dettaglio degli impianti d’irrigazione. L’acqua, estratta in loco dalle profondità, è convogliata in kilometri di questi tubi neri da 30 mm di diametro, perennemente sgocciolanti sulla sabbia. Un’invenzione tanto banale, limitando al minimo l’evaporazione, consente al kibbutz di produrre tanti manghi e banane da poterli regalare a tutta la comunità e da avere fantastiche aiuole ad ogni angolo.

sorta, che salendo o scendendo in potenza di segnale va a tracciare una mappa interna dei focolari domestico-connettivi, ciascuno come una bolla d’influenza in cui silenziosamente m’introduco. Ad un più attento sguardo, tuttavia, qualcosa stride: l’erba, morbido tappeto interrotto solo da qualche lingua di sabbia di accesso alle case, è uniformemente annaffiata con l’israelianissimo sistema a goccia e perfettamente tosata; non passano mai macchine….ma proprio mai: l’unica parcheggiata è l’ambulanza del pronto soccorso, davanti al refettorio; le bici, mezzo di trasporto più gettonato, non hanno lucchetti e le trovi inforcate ovunque negli appositi portabici, puntualmente corrosi da ruggine e sabbia; divani, televisioni, telefoni, ventilatori, radio, vestiti, arredano un ambiente esterno per ogni abitazione, in giardino, per le famiglie, o al limite sul ballatoio comune delle case dei lavoratori: l’eventualità televisore-da-buttare-per-la-pioggia non è contemplata.

Scorcio su un giardino ‘privato’. Nessuno si sogna di mettersi sull’amaca del proprietario, ma è socialmente accettabile sedersi sull’erba per usare il wi-fi: sottili questioni estetiche.

Il punto fondamentale della vita in kibbutz è l’ottimizzazione delle energie, o almeno questo è quello che vedo: perchè comprarsi un costoso tagliaerba, la benzina per farlo andare, incazzarsi perchè la corda di accensione non lo accende, fare rumore ciascuno a un’ora diversa quando si può incaricare uno per tutti di fare tutti i giardini a bordo di un bellissimo trattorino tagliaerba elettrico pagato dal fondo comune? O perchè mettere recinzioni (l’unica è quella dell’asilo nido) per impedire il passaggio delle persone verso porte d’ingresso senza serrature? Per di più, sarebbero solo da ostacolo per trattorino tagliaerba.  Perchè piantare in giardino un’acacia, aspettare dieci anni, finalmente appenderci due altalene e un copertone per far giocare i tuoi figli che nel frattempo sono andati a studiare ad Haifa, quando hai la bellissima acacia del vicino, già dotata di altalena? Il tuo disboscato giardino sarà votato all’unanimità come campo di calcetto dai bambini del circondario. L’impatto estetico finale è quindi un grandissimo condominio senza liti condominiali, o almeno non in sede pubblica, in cui vige l’esatto contrario del principio di sussidiarietà: non già lasciar fare al piccolo, il priavato, il proprio business senza trasferirlo all’ente pubblico, ma ottimizzare le risorse erogando quanti più possibili servizi centralizzati. Lo chiamerei piuttosto sistema ‘ecologico’ di sfruttamento delle risorse. Come mostra il caso delle altalene, anche il diritto privato sottosta a questa fondamentale intenzione comunista, dal momento che l’autorizzazione a tagliare o piantare l’acacia viene dal collegio centrale: l’ingrediente segreto per mantenere alto il livello dei servizi senza farli gravare su ciascun individuo, quindi, non può che essere la generosità reciproca, cioè l’uguaglianza reale. Come la storia dei kibbutz ha mostrato tuttavia, sono anche ben chiari i limiti della prerogativa assoluta degli individui sui possessi personali: le banane sul banano che io ho piantato sono mie, anche se puntualmente le porto all’asilo prima di andare al lavoro; il wi-fi è mio, anche se non lo proteggo con la WPA; la bici è mia, anche se non la lego. Le basi giuridiche di questo risultato estetico sono ciò che mi propongo di scoprire nei prossimi giorni: chi comanda nel kibbutz? Quali sono gli ambiti di prerogativa individuale?

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